Non c’è stata una sola dichiarazione ufficiale dalle autorità di Belgrado lunedì 11 luglio, in occasione del 27° anniversario del genocidio di Srebrenica. Anche tutti i partiti politici hanno mantenuto il completo silenzio. Unica eccezione è la Lega dei socialdemocratici della Vojvodina (LSV), il cui leader Nenad Canak si è recato anche quest’anno a Srebrenica. A inizio 2021 alcuni altri partiti d’opposizione tra cui l’iniziativa Non affoghiamo Belgrado (NDB) e il Movimento dei cittadini liberi (PSG) hanno deciso di riconoscere Srebrenica come genocidio. Ma la politica ufficiale delle autorità di Belgrado resta quella di negare la natura del genocidio, che viene definito “crimine orribile”; tale politica non è cambiata dal 2010, quando è stata adottata l’allora storica risoluzione parlamentare di condanna di Srebrenica (ancora una volta senza definirlo genocidio).
Per quanto riguarda la società civile, una ONG locale ha presentato un progetto di memoria digitale, con un’applicazione per telefoni cellulari che, una volta inquadrato in fotocamera l’edificio del parlamento serbo, permette di leggervi in sovraimpressione i nomi delle vittime di Srebrenica – monumento virtuale in ricordo del genocidio. Le “Donne in nero” di Belgrado hanno rappresentato in Trg Republike la pièce teatrale “Srebrenica, il nome del genocidio”, per poi ritrovarsi la porta della sede dell’associazione ricoperta di vernice rossa, in chiaro segnale intimidatorio. E mentre da un lato dell’edificio della Presidenza si erano radunate associazioni, attivisti e pacifisti per accendere candele in omaggio alle vittime del genocidio, a pochi metri di distanza venivano preparati i festeggiamenti per le migliaia di persone che hanno accolto il rientro del famoso tennista serbo Novak Djokovic, che solo l’anno scorso si accompagnava con ex paramilitari serbobosniaci di stanza a Srebrenica e ancora oggi impegnati nel garantire l’impunità ai veterani accusati di crimini di guerra.
Solo domenica 10 luglio lo storico quotidiano conservatore belgradese Politika ha pubblicato un’intervista al ministro degli interni Aleksandar Vulin, che ha ripetuto le sue posizioni sulla “unificazione di tutti i serbi in un unico Stato”. In reazione, l’ambasciata americana in un tweet ha definito la dichiarazione di Vulin come contraria agli accordi di Dayton e alle aspirazioni europee della Serbia. E mentre durante la recente visita del premier montenegrino Abazovic era stato concordato che Belgrado avrebbe smesso di impedire l’ingresso in Serbia ai parlamentari montenegrini che hanno votato a favore della loro risoluzione parlamentare su Srebrenica, il ministro Vulin ha confermano nei giorni scorsi che tali parlamentari “non hanno nulla da fare in Serbia”.
Sempre lunedì, la premier serba Ana Brnabic si è intrattenuta per pranzo con Radovan Viskovic il premier della Republika Srpska, l’entità bosniaca a maggioranza serba dove si è consumato il genocidio; a quanto riportano le informazioni ufficiali, i due capi dell’esecutivo hanno discusso di energia, sicurezza alimentare e progetti comuni. Secondo i documenti del tribunale dell’Aja, durante il genocidio lo stesso Viskovic, allora membro dell’esercito serbo-bosniaco, era incaricato del trasferimento dei bosgnacchi catturati a Srebrenica verso Bratunac e Zvornik, dove vennero infine fucilati e gettati in fosse comuni. Viskovic non è mai stato indagato dalla magistratura bosniaca su tali fatti.
La premier serba, che ha mantenuto il silenzio per tutto lunedì, ha ritrovato poi la voce martedì per reagire stizzita alle dichiarazioni dell’ambasciatore UE in Bosnia Erzegovina, Johann Sattler. In occasione dell’anniversario, Sattler ha scritto, tra l’altro, che “dopo tanta disumanità accaduta a Srebrenica, è comprensibile che parole come riconciliazione suonino vuote, o addirittura offensive per le vittime. Nessuno può perdonare il genocidio. E infatti, senza giustizia, pieno rispetto e riconoscimento dei crimini, delle vittime e delle perdite umane, la vera riconciliazione è impossibile. Questo vale per tutti i crimini commessi durante la guerra, e in particolare per il genocidio di Srebrenica a causa della natura speciale del crimine”. La premier Brnabić ha reagito stizzita: “qualcuno che rappresenta l’UE dice che la riconciliazione sarebbe un insulto alle vittime?!? è davvero terrificante e spero che ci sia un errore”. Le ha risposto a stretto giro la giornalista sarajevese Hana Soko: “a che punto siamo con il riconoscimento, primo ministro?”. Una domanda importante, da rivolgere a tutti i dirigenti di quel paese in cui, solo qualche mese fa, la polizia era schierata a protezione di un murale in onore del criminale di guerra Ratko Mladic.