Il 24 giugno la Commissione Europea ha bocciato lo status di candidato alla Georgia, attribuendolo invece a Ucraina e Moldavia. Le porte dell’Europa resteranno sempre aperte ha chiarito poi Bruxelles, ma il paese caucasico dovrà attuare una serie di riforme richieste dall’organo europeo. Sul fronte interno, riprendono le consultazioni tra l’Ossezia del Sud e Mosca dopo la cancellazione del referendum.
Separatismi alla prova del conflitto ucraino
L’onda d’urto del conflitto in Ucraina si propaga anche nella regione caucasica, creando scossoni politici in un territorio dove gli equilibri interni non sono stati mai così fragili. Molti territori giuridicamente contesi considerano la guerra come una via d’uscita, tra queste, c’è anche la possibilità di essere annessi alla Federazione Russa.
Una possibilità che è stata considerata anche dalle istituzioni del Nagorno-Karabakh, pur di non essere integrati dall’Azerbaijan. L’Ossezia del Sud, che non ha mai nascosto questa intenzione, ha premuto sull’acceleratore e il 13 maggio l’ormai ex presidente Anatoly Bibilov ha indetto un referendum che si sarebbe dovuto svolgere il 17 luglio. Un annuncio che è suonato più come un ultimo desiderio che come reale possibilità nell’immediato futuro, in quanto l’8 maggio Bibilov ha perso al ballottaggio e la sua presidenza è terminata il 24 dello stesso mese. Il neo presidente Alan Gagloyev, capo del partito Nykhaz, ha annullato il plebiscito, denunciando l’unilateralità della decisione presa dal suo predecessore e dichiarando che il governo procederà per questa strada, ma osservando le norme internazionali e costruendo dialoghi con la controparte russa. Insomma, tempi non maturi per un passo così importante e anche l’assenza di reazione positive dal Cremlino indicava la mancanza di presupposti per un passo del genere.
Le relazioni tra Russia e Georgia
Dura la reazione di Tbilisi dove il ministro David Zalkalian ha dichiarato che “non ci sarà nessun referendum in mezzo a un’occupazione, soprattutto sullo sfondo di cittadini espulsi dalle loro case a causa della pulizia etnica non autorizzati a tornare”. Ciò nonostante, il 13 giugno sono riprese le trattative e una delegazione osseta è volata a Mosca. Pochissimi progressi dopo questo incontro, ma Mosca, nella voce di Maria Zacharova (Direttrice stampa del Ministero degli affari esteri), ha apprezzato la cancellazione del referendum e l’inizio di un sereno confronto per arrivare allo stesso obiettivo.
Niente candidatura UE per la Georgia
La Georgia non ha ottenuto lo status di candidata all’ingresso nell’Unione Europea, concesso invece a Ucraina e Moldavia. Per molti è stata la grande esclusa, per altri l’esito era piuttosto prevedibile. In ogni caso la Georgia perde il primo treno utile per l’Europa. La Commissione europea tornerà ad esprimersi a fine anno, ma necessarie saranno le riforme richieste da Bruxelles e che il governo di Irakli Garibashvili dovrà perseguire.
Prima fra tutte la fine della polarizzazione politica che, ad oggi, vede opporsi due soli partiti: il Partito del Sogno georgiano e il Movimento nazionale unito. Da migliorare anche la libertà di stampa. L’ultima edizione del World Press Freedom Index colloca la Georgia all’89simo posto su un totale di 180 paesi. In un anno, la Georgia ha perso più di 20 posizioni, quasi quante la vicina Armenia ne ha guadagnate nello stesso arco di tempo. Altre priorità sono riforme elettorali, giudiziarie e un processo di de-oligarchizzazione.
I tempi record con cui la Commissione ha concesso lo status di candidato ad Ucraina e Moldavia, che hanno problemi analoghi, fanno pensare più ad un gesto di solidarietà che ad una reale intenzione di aprire un percorso che porti all’ingresso di nuovi paesi nella famiglia europea.
Tbilisi si infiamma: si ripopola Viale Rustateli
Non sono poche le ragioni che hanno spinto centomila georgiani a scendere in piazza, tra bandiere nazionali, ucraine ed europee il 21 giugno scorso. Aria di malcontento si respirava già alla fine dell’anno scorso, quando il 30 dicembre 2021, l’ex presidente Mikhail Saakashvili è tornato in carcere. Con tre processi da affrontare, uno dei quali per appropriazione indebita di fondi pubblici, l’ex leader rischia undici anni di reclusione.
A scuotere l’opinione pubblica è stato l’inizio della guerra in Ucraina e, se il governo non si è mostrato unito nell’infliggere sanzioni e non si è mai sbilanciato pubblicamente a riguardo, il popolo non ha avuto alcun dubbio su chi sostenere.
A spingere nuovamente in strada le persone è infine stata la bocciatura della Commissione europea, ma la rabbia delle persone che si sono riversate in Viale Rustateli non era rivolta a Bruxelles, ma verso l’attuale governo accusato di compromettere il percorso europeo e vanificare quello che di buono è stato fatto finora.
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Foto: Mariam Nikuradze/OC Media.