Il governo della Bulgaria guidato dal premier Kiril Petkov è caduto a seguito di un voto di sfiducia promosso dai partiti d’opposizione.
La stabilità politica è ancora un miraggio a Sofia: con 123 voti favorevoli e 116 contrari, il governo del premier Kiril Petkov (del partito Continuiamo il cambiamento) è stato sfiduciato, appena sei mesi dopo la sua investitura. Il paese dovrebbe dunque avviarsi verso nuove elezioni, le quarte in poco più di un anno.
Le cause della crisi
La crisi è iniziata lo scorso 8 giugno, quando la forza politica C’è un popolo così (ITN, partito pigliatutto) ha lasciato la coalizione di governo formata dal Partito Socialista Bulgaro, Continuiamo il cambiamento (centro) e Bulgaria Democratica (centro-destra ambientalista). Le accuse mosse dal capo dell’ITN Slavi Trifonov al governo sono di mal gestione di fondi pubblici e di debolezza nel processo di adesione della Macedonia del Nord all’UE. Il premier Petkov aveva infatti fatto capire che la Bulgaria avrebbe potuto levare il suo veto su Skopje, un tradimento secondo le destre. Petkov ha poi dichiarato che l’ITN avrebbe voluto mantenere finanziamenti pubblici verso imprese di dubbia natura, molte delle quali si sarebbero poi rivelate illegali.
Dopo l’uscita dell’ITN, la coalizione di governo ha perso la maggioranza in Parlamento. L’ITN si è dunque da subito messo all’opera per intralciarne il lavoro: con l’apporto dei suoi voti, l’opposizione è riuscita a far destituire il presidente del Parlamento Nikola Minchev (Continuiamo il cambiamento), simbolo della lotta contro la corruzione. Un voto con cui l’opposizione ha dimostrato che il governo avrebbe potuto essere facilmente sfiduciato.
Il dialogo con Skopje
Il governo è caduto durante una settimana cruciale per le relazioni bilaterali tra Bulgaria e Macedonia del Nord: il Consiglio europeo cercherà infatti di sciogliere i nodi tra i due paesi. La Francia, alla guida del Consiglio dell’Unione europea e alla ricerca di qualche successo diplomatico, ha avanzato una proposta di conciliazione: le bozze dell’accordo prevederebbero che nella Costituzione macedone sia menzionato il popolo bulgaro come costitutivo della Macedonia del Nord. Se la proposta fosse approvata, anche l’Albania tirerebbe un sospiro di sollievo. La sua candidatura è stata infatti legata a quella di Skopje: la disputa tra Bulgaria e Macedonia del Nord ha quindi bloccato anche il processo di adesione di Tirana.
In Bulgaria la proposta sembra riscuotere discreto successo (anche l’ex premier Boyko Borisov ha fatto sapere che la supporterà), mentre in Macedonia del Nord spuntano già le prime diffidenze: difficilmente la proposta riuscirà a raccogliere il supporto dei due terzi del parlamento di Skopje, soglia richiesta per apportare il cambiamento.
Il ritorno di Borisov?
Ad organizzare il voto di sfiducia sono stati GERB (il partito dell’ex premier Boyko Borisov), Forze democratiche unite (centro-destra), Rinascita (estrema destra) e il partito della minoranza turca. È proprio lo spettro di Borisov che si aggira nei palazzi di governo: arrestato per corruzione e appropriazione indebita di fondi lo scorso 17 marzo e rilasciato il giorno dopo in mancanza di prove sufficienti, Borisov sembra pronto a tornare al potere a seguito di nuove elezioni.
La palla passa ora al presidente Rumen Radev: se sarà impossibile formare una nuova maggioranza (non è chiaro se Petkov riuscirà a raccogliere il supporto di alcuni parlamentari d’opposizione per formare un nuovo governo), Radev dovrà nominare un governo provvisorio che guiderà il paese a nuove elezioni. Nel frattempo, i bulgari dovranno sopportare un ennesimo stallo politico nel bel mezzo della guerra in Ucraina e della conseguente crisi energetica ed economica.
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