Kaliningrad

Kaliningrad nel mirino, perché?

Esiste un lembo di Russia fuori dalla Russia, è l’exclave di Kaliningrad, un tempo Prussia orientale, annessa all’Unione Sovietica nel 1945 e incastonata tra Polonia e Lituania. Proprio il governo lituano ha recentemente annunciato che impedirà il transito via ferrovia di beni russi soggetti alle sanzioni dell’Unione europea verso l’oblast’ di Kaliningrad. L’annuncio è stato fatto il 18 giugno scorso, e riguarderà carbone, metalli, materiali da costruzione e tecnologie avanzate, che fanno parte dei pacchetti di sanzioni che Bruxelles ha indetto contro Mosca negli ultimi mesi. Secondo il governatore di Kaliningrad, Anton Alikhanov, il blocco riguarda circa il 50% degli importi totali dell’exclave. Lunedì 20 giugno il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha affermato che la decisione lituana è “senza precedenti”, “in violazione di tutto” e causerà una reazione russa “pratica, non diplomatica”.

Perché il blocco?

In teoria il governo lituano starebbe solo implementando le sanzioni decise da Bruxelles, garantendone l’effettiva applicazione. La decisione del blocco ferroviario non è un fulmine a ciel sereno; da mesi è vietato agli autotrasportatori russi e bielorussi di operare nell’UE, impedendo di fatto l’accesso a Kaliningrad, e causando un rincaro dei prezzi e l’esaurimento delle scorte di alimentari e medicinali.

Tuttavia la decisione del governo lituano sembra essere una risposta al disegno di legge, depositato il 9 giugno scorso presso il parlamento russo dal deputato Yevgeny Fyodorov, eletto nelle fila di Russia Unita, il partito di Putin, che propone di annullare il riconoscimento dell’indipendenza lituana. Un atto apertamente ostile che i lituani temono possa essere il pretesto per future aggressioni al piccolo paese baltico.

“Quale successore legale dell’URSS, il parlamento della Federazione Russa ha il diritto di impugnare e rivedere le decisioni assunte dal Consiglio supremo dell’URSS (il 6 settembre 1991, ndr) in merito all’indipendenza degli stati baltici, specialmente se queste sono state prese in violazione con la stessa costituzione dell’URSS” ha dichiarato Fvodorov, che ha aggiunto: “Ci sono diverse ragioni per cui la Lituania è la prima in questa lista ma, una volta sviluppato il meccanismo, possiamo usarlo anche nei confronti di altri territori della NATO. E non solo della NATO. Anche l’Ucraina, ad esempio, ha accidentalmente lasciato la Unione Sovietica”.

Con questa decisione, la Russia ha gettato le basi per future rivendicazioni nel Baltico, minacciando direttamente l’indipendenza lituana e degli altri paesi della regione, inasprendo i rapporti già tesi a causa della guerra e confermando, una volta di più, come i disegni egemonici russi non si limitino alla sola Ucraina. La decisione di intensificare il blocco commerciale nei confronti dell’exclave di Kaliningrad va letta in relazione alle provocazioni russe e inserita in un quadro più ampio che vede i rapporti tra i due paesi deteriorarsi da tempo.

Il nodo di Kaliningrad

Fino al 1991 inserita nel continuum territoriale sovietico, l’oblast’ di Kaliningrad si trova oggi separato dal resto della Federazione Russa, circondato da paesi membri dell’Unione Europea e della NATO. Una posizione scomoda che fin qui è stata gestita con uno speciale regime dei visti che consentiva ai russi residenti nell’exclave di commerciare e circolare in Polonia e Lituania.

A seguito dell’aggressione russa all’Ucraina, la Lituania ha intensificato i controlli alla frontiera consentendo il passaggio del treno diretto per la Bielorussia attraverso il territorio lituano – ma nessuno può scendere, e alla stazione di Vilnius 24 pannelli rappresentano i crimini di guerra russi e chiedono ai viaggiatori: “Oggi stesso, Putin sta uccidendo civili in Ucraina. Tu lo sostieni?”.

Per le stesse ragioni il consolato polacco a Kaliningrad ha smesso di rilasciare visti imprigionando di fatto i russi nella loro regione. “Una terribile umiliazione”, come scriveva Andrea Zambelli in un precedente articolo, per una popolazione che “ha forti legami con la Marina russa ma negli anni ha sviluppato anche un senso di identità regionale distinta, e tra alcuni gruppi sociali anche un attaccamento sentimentale alla storia pre-sovietica della regione” – l’ex Prussia orientale di Koenigsberg, dove ebbe i natali Immanuel Kant. Il sostegno a Putin nella regione era tra i più bassi dell’intera Federazione Russa, complice la prossimità con il modello politico ed economico europeo.

La guerra innalza le sue barriere, e la richiesta di adesione NATO da parte di Svezia e Finlandia rende la regione ancora più strategica per il Cremlino. Già nel 2016 la Russia ha spostato a Kaliningrad  missili Iskander-M, in violazione dei trattati che vietano lo spiegamento di missili nucleari entro i 500 chilometri dal confine europeo, inviando anche truppe di fanteria meccanizzata, mentre la Flotta del Baltico è stabilmente ancorata al porto della città. Da allora le relazioni tra Vilnius e Kaliningrad sono compromesse, tanto che il governo lituano ventilò persino l’ipotesi di costruire un muro al confine. Ipotesi infine accantonata su pressione dell’Unione Europea.

Il corridoio di Suwalki

Il “corridoio di Suwalki” è il tratto che collega la Bielorussia con l’exclave russa di Kaliningrad. Alcuni analisti ritengono che, nel caso di un’escalation del conflitto verso il Baltico, il “corridoio” sarebbe il primo obiettivo militare russo in quanto la sua conquista isolerebbe gli stati baltici dal resto del blocco occidentale. Le paure dell’escalation si sono accresciute all’indomani del blocco ferroviario voluto da Vilnius. Dal 2016 la regione è presidiata da contingenti NATO e un attacco non potrebbe non coinvolgere direttamente l’Alleanza Atlantica.

Camminare sul filo

Insomma, Kaliningrad scotta. E sarebbe meglio evitare di aprire fronti senza un coordinamento tra gli alleati occidentali, legati da alleanze militari a un comune destino. La reazione lituana alle provocazioni russe è solo in apparenza marginale. Nel mettere in discussione l’indipendenza dei paesi baltici, la Russia dimostra di non essere un paese affidabile, ma la storia insegna come a volte singole decisioni, apparentemente secondarie, possano ingenerare pericolose dinamiche. Stiamo camminando su un filo, e una maggiore attenzione a dove si mettono i piedi può essere utile.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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