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Guerra e linguaggio: la mostrificazione del nemico

La guerra riadatta il linguaggio alle esigenze di propaganda: in Ucraina i russi sono gli orchi di Tolkien e Mosca lancia la “Mordor buona”

Per riflettere su quanto il linguaggio impatti su questa guerra, sarà sufficiente tornare alla definizione di Operazione militare speciale (специальная военная операция) con cui Putin l’ha catalogata. Un contorsionismo eufemistico di indubbia efficacia, sul fronte interno ed estero, che gli ha permesso di perpetrare l’immagine di un esercito russo sotto impiegato, che se solo volesse potrebbe sbarazzarsi della resistenza ucraina con uno schiocco delle dita. Il fatto che migliaia di soldati russi siano morti in un’operazione speciale, e non già in una guerra, è una questione che andrà (eventualmente) chiarita all’opinione pubblica del paese, che Putin ha saputo edulcorare in tutti questi anni.

Per i russi tutto ciò che è nazionale è nazista

Il linguaggio riveste un’importanza fondamentale anche nella descrizione del nemico. Il motivo della denazificazione come ragione primaria dell’intervento in Ucraina di recente ha investito un’altra sfera semantica, ovvero quella legata all’aggettivo nazionale (національний). In un’intervista rilasciata ad oko.press Oleksiy Vasilyuk, ecologo e zoologo, attivista del Gruppo ucraino a difesa della natura (Українська Природоохоронна Група), ha denunciato le modalità brutali con cui i russi si rapportano alle riserve protette: “Devastano tutto ciò che trovano lungo la loro strada. In poche parole, distruggono, bruciano e saccheggiano gli edifici amministrativi e le infrastrutture del parco”.

Riguardo al personale che lavora nei parchi nazionali, Vasilyuk ha dichiarato: “A loro volta, i dipendenti delle aree protette vengono trattati come potenziali nemici. Si è giunti all’assurdità per cui i soldati russi, a cui viene detto che stanno combattendo i nazisti ucraini, quando trovano un elenco di lavoratori di un parco nazionale interpretino la parola nazionale come nazista. E iniziano, dunque, a cercare questi nazisti immaginari che lavorano nei parchi”.

I russi come gli orchi della saga di Tolkien

D’altro canto, anche gli ucraini hanno modificato la loro comunicazione, adattandola al clima bellico e – in particolare – puntandola contro il nemico. Al restringimento semantico operato dai russi, che alla bisogna intendono nazional(ista) al pari di nazista, corrisponde la mostrificazione (v. Chiara Volpato, Deumanizzazione. Come si legittima la violenza) che gli ucraini utilizzano nei confronti di chi combatte contro di loro. La parola orchi (орки), atta a indicare i soldati russi, è entrata nell’uso comune tanto dei civili quanto dei media in Ucraina. “Gli orchi sono entrati a casa mia”, si sente dire nei filmati che riprendono i saccheggi di Bucha e di altre città; mentre nei comunicati ufficiali dell’esercito ucraino si legge: “Il territorio è stato liberato dagli orchi”.

La definizione, naturalmente, si richiama in prima battuta alle orribili creature che popolano la saga di Tolkien, Il signore degli anelli. Gli orchi si sono definitivamente imposti come simbolo di crudeltà dopo la rappresentazione cinematografica che ne ha dato Peter Jacskon nella trilogia cinematografica ispirata all’opera: guerrieri (o meglio: carne da macello destinata a morte certa) repellenti, con facce deformi, denti storti, orecchie sporgenti.

Una definizione nata nel 2014

La definizione di orchi in rapporto ai soldati russi si era già affacciata nel 2014, dopo l’invasione del Donbass; così come orchi erano stati definiti anche i miliziani di Yanukovich durante Euromaidan. Il termine proviene dalla mitologia romana, in cui indicava il dio degli Inferi, e norrena; la sua forma primordiale in inglese antico, ‘orcneas’, può essere riscontrata nel poema Beowulf col significato di spirito malvagio, o di mostro che si nutre di carne umana; mentre un’altra interpretazione spinge il senso di ‘orcneas’ ad indicare uno straniero o, appunto, un guerriero defunto.

Quando, all’inizio di aprile 2022, i crimini di guerra dei soldati russi nelle varie località hanno iniziato a venire alla luce, alcuni attivisti estoni anonimi hanno creato una speciale mappa virtuale intitolata: “Da dove vengono gli orchi?”. Mostra tutti i luoghi della Russia da cui provengono i 1.600 soldati responsabili del genocidio di Bucha, da Kaliningrad fino a Magadan e alla Čukotka. Questo termine compare anche nella canzone Bayraktar (Байрактар), estremamente popolare in Ucraina, che racconta l’efficacia del drone Bayraktar-TB2 di fabbricazione turca. “Un tempo volevano conquistarci con la forza, ma noi abbiamo reagito a questi orchi. Bayraktar ha trasformato i banditi russi in fantasmi”, si dice nel testo.

E Mosca impazzisce per la ‘Mordor buona’

Se gli orchi rappresentano i soldati russi, scaturisce consequenzialmente il paragone tra Sauron-Putin e l’intera Russia-Mordor. Del resto, per anni il regno di Mordor è stato ritenuto un’allegoria dell’Unione Sovietica, benché Tolkien abbia sempre negato: “La localizzazione di Mordor ad est è dovuta semplicemente alle necessità geografiche del racconto all’interno del mio sistema mitologico” (Lettera 229, da: La realtà in trasparenza).

Lo scienziato russo Kirill Eskov, scrittore per passione, ha pubblicato nel 1999 una sorta di sequel “alternativo” della saga, dal titolo “L’ultimo Signore degli anelli” (mai pubblicato in Italia), ambientato nella Terra di Mezzo subito dopo gli eventi narrati da Tolkien. Eskov ha deciso di invertire la prospettiva, trasformando i cattivi di Tolkien in eroi: Mordor è, dunque, dalla parte del bene e un’alleanza di elfi, nani e umani vuole annientarlo.

Gli orchi sono degli umani; il termine orco è adesso solo una denominazione spregiativa per gli abitanti di Mordor. Sauron non vuole oscurare il mondo, ma protegge i pacifici abitanti di Mordor dalla crudeltà dell’Occidente. Sono personaggi come il mago Gandalf, l’eroe buono di Tolkien, che iniziano deliberatamente una grande guerra e usano la propaganda per colpire Mordor e il suo leader. Quando “L’ultimo Signore degli anelli” è uscito per la prima volta in Russia il pubblico è praticamente impazzito. Il libro ha avuto un successo istantaneo ed è stato subito tradotto in tredici lingue.

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Immagine: particolare della copertina dell’edizione francese del libro di Eskov

Chi è Alessandro Ajres

Alessandro Ajres (1974) si è laureato all’Università di Torino con una tesi su Gustaw Herling-Grudziński, specializzandosi nello studio della lingua e letteratura polacca. Nel 2004 ha conseguito il dottorato di ricerca in Slavistica con un lavoro sull’Avanguardia di Cracovia, da cui scaturirà poi il volume Avanguardie in movimento. Polonia 1917-1923 (Libria 2013). Attualmente è professore a contratto di Lingua Polacca all’Università di Torino.

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