Verso la fine di maggio, un crowdfunding lanciato dal popolare presentatore tv Andrius Tapinas, ex giornalista di LRT e fondatore del canale televisivo online Laisvės TV, si era posto un obbiettivo ambizioso ma complesso: raccogliere 5 milioni di euro da usare per acquistare un drone turco da combattimento Bayraktar, e poterlo così donare all’esercito ucraino. Un gesto di inestimabile portata simbolica e pratica, in un momento della guerra dove l’esercito russo sta aumentando la pressione contro le postazioni ucraine nel Donbass, e il 20% del territorio ucraino si trova sotto controllo di Mosca.
Nessuno però si aspettava che la risposta al lancio della raccolta fondi potesse essere così spontanea e veloce: in meno di una settimana, la cifra necessaria per comprare il drone è stata non solo raggiunta, ma addirittura sorpassata. Il denaro raccolto verrà suddiviso in due parti: 1.5 di euro sono stati trasferiti al Ministero della Difesa lituano, in modo che possa completare l’acquisto dell’arma, mentre il restante verrà donato direttamente all’Ucraina come aiuto umanitario.
Si può affermare che l’evento ha avuto una portata talmente significativa in Lituania che anche il Primo Ministro Ingrida Šimonytė si è congratulata tramite un tweet con Tapinas per il raggiungimento del traguardo. Il giornalista, tuttavia, non è nuovo a questo genere di iniziative: infatti, era stato il promotore della “catena umana” che da Vilnius aveva raggiunto il confine bielorusso nell’agosto del 2020, in solidarietà alle proteste contro Aljaksandr Lukašėnka.
Che cos’è il Bayraktar, e l’ambiguità della Turchia nel conflitto
Tuttavia, l’Ucraina non sta scoprendo ora l’esistenza di questo drone a basso costo e che ha numerosi acquirenti a livello mondiale: sin dal 2019, la Turchia ha stretto rapporti con il governo di Kyiv, rifornendolo con una dozzina di droni da combattimento. Inoltre, poco prima dello scoppio del conflitto, i due paesi avevano firmato nuovi accordi che prevedevano anche la costruzione di uno stabilimento per la costruzione di droni turchi proprio in Ucraina. I TB2 hanno guadagnato notorietà mondiale grazie all’uso che la Turchia durante le sue recenti operazioni militari in patria e all’estero: i velivoli teleguidati sono usati contro i combattenti curdi sparsi tra Turchia, Siria ed Iraq. Il successo tra gli ucraini è decisamente esploso nel corso della guerra, lodandoli per i contributi dati allo sforzo bellico, tanto anche da meritarsi un inno celebrativo.
Il Bayraktar 2 è considerato una strumento rivoluzionario all’interno del warfare per due motivi: i suoi costi relativamente bassi, che lo rendono un’alternativa ai più cari droni di produzione statunitense, e la facilità con cui può essere usato, specialmente quando si tratta di compiere operazioni militari che hanno come target artiglierie e veicoli corazzati. Inoltre, non bisogna dimenticare il legame stretto che esiste tra Selcuk Bayraktar, il fondatore dell’omonima azienda, e il presidente turco Recep Tayip Erdogan.
Ci sono tuttavia dubbi sulla reale effettività del Bayraktar di spostare la bilancia dalla parte dell’Ucraina a causa dei suoi limiti operazionali. Inoltre, rimangono molte perplessità su quale sia la reale posizione della Turchia rispetto al conflitto in corso: da una parte rimane un membro strategico della NATO, dall’altra Erdogan sembra intenzionato a non irritare Vladimir Putin, considerato come un partner (ma non alleato) essenziale per scenari dove la Turchia è impegnata attivamente per proteggere ed espandere la sua influenza politica e militare (Siria, Caucaso, Libia).
L’attivismo della Lituania come stato di necessità
Il crowdfunding organizzato da Tapinas, e la vasta partecipazione che ne è seguita, rappresenta solo un crescendo dell’attivismo che la repubblica baltica ha manifestato sin dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina: dallo stagno di fronte all’ambasciata russa colorato di rosso sangue, alle immagini dei massacri di Mariupol mostrati ai pendolari russi diretti a Kaliningrad alla stazione di Vilnius, fino alla scritta per processare Putin alla Corte Penale Internazionale fatta dal sindaco della capitale, Remigijus Šimašius. La Lituania, insieme alle vicine Lettonia ed Estonia, non ha lesinato il suo aiuto a Kyiv sotto forma di assistenza militare ed economica, e ha intrapreso azioni come dichiarare la Russia uno “Stato terrorista” e tagliare definitivamente l’importazione di gas dalla Federazione, nel tentativo di intraprendere la strada finale verso l’indipendenza energetica. Ma il motivo di questa intraprendenza sta anche, e soprattutto, sulle ripercussioni che l’andamento della guerra potrebbe portate negli stati baltici: è infatti convinzione che, se l’Ucraina cadrà, gli Stati baltici saranno i prossimi obbiettivi della politica revanscista putiniana, pronta ad usare nuovamente la scusa della difesa delle minoranze russofone nel cosiddetto near abroad per ricomporre nuovamente il puzzle imperiale del Cremlino.
Il governo lituano vuole mantenere l’attenzione alta sulla guerra e, soprattutto, vuole che la NATO e l’Occidente in generale prendano una decisione più unitaria e risoluta contro l’aggressività di Putin. Secondo il ministro degli Esteri Gabrielijus Landsbergis, solamente lavorando per una sconfitta militare e politica della Russia, attraverso una rafforzamento della presenza NATO in Europa Orientale e l’inclusione dell’Ucraina nel sistema di sicurezza europea, raffredderà la minaccia russa verso Vilnius e gli stati dell’ex blocco sovietico.
(Immagine: francobollo celebrativo per l’acquisto del Bayraktar rilasciato dalle Poste lituane)