RUSSIA: Guerra all’Ucraina, l’allargamento NATO è una scusa

Il Cremlino ha più volte denunciato l’allargamento della NATO in Europa orientale come minaccia alla sicurezza della Russia. La guerra scatenata contro l’Ucraina – che il Cremlino chiama “operazione speciale” – avrebbe quindi un carattere difensivo e si motiverebbe con la necessità di garantire la sicurezza del paese di fronte all’espansionismo occidentale.

“Un effetto collaterale accettabile”

A confutare quest’affermazione basta la logica. Il Cremlino non poteva non prevedere che una guerra contro l’Ucraina – specialmente se coronata da successo – avrebbe portato a un rafforzamento della NATO nei paesi vicini, non certo a una demilitarizzazione. Spaventati dall’aggressione, i paesi dell’Europa centro-orientale avrebbero chiesto all’Alleanza Atlantica una maggiore presenza di uomini e sistemi d’arma, con tanto di aumento delle spese militari. Allo stesso modo era prevedibile che paesi finora neutrali – come la Finlandia e la Svezia – avrebbero richiesto la protezione della NATO di fronte alla minaccia russa. Come ha scritto Giorgio Comai: “L’eventualità di un riarmo della NATO sul fronte orientale era presumibilmente ritenuta un effetto collaterale accettabile in cambio di un intervento di successo in Ucraina”.

E qui casca l’asino

La denuncia dell’allargamento NATO fu argomento ossessivamente ripetuto nelle settimane precedenti il conflitto, mentre già la Russia accumulava truppe ai confini ucraini. All’apice della tensione, nel dicembre 2021, il Cremlino propose il ritiro delle proprie truppe in cambio dello smantellamento della NATO da tutti i paesi dell’Europa centro-orientale, dal Baltico alla Romania. Una provocazione evidentemente irricevibile, che aumentò la tensione all’interno della NATO e spinse i paesi dell’est Europa a chiedere a gran voce un aumento della presenza atlantica sui loro territori. Anche in questo caso, se la Russia cercava sicurezza, è riuscita nell’effetto opposto.

L’Alleanza Atlantica rispose proponendo una moratoria sull’ingresso di Kiev nella NATO e una reciproca trasparenza su manovre militari e schieramenti di armi convenzionali nell’Europa centro-orientale, impegnandosi infine a non installare mai missili o truppe in Ucraina.  Conosciamo i contenuti di questa proposta grazie al quotidiano americano Politico, che ha pubblicato i documenti. Abbiamo conferma del fatto che una simile proposta sia stata effettivamente avanzata dal fatto che il Cremlino ha reso pubblico il proprio rifiuto, motivandolo con la sfiducia verso Washington. Se Mosca avesse accettato avrebbe ottenuto quelle garanzie sulla propria sicurezza che andava chiedendo a gran voce. Ma non lo fece, perché? Perché quella dell’allargamento NATO è una scusa, una foglia di fico dietro cui celare altri obiettivi.

L’Ucraina e la NATO

La sovranità e l’integrità territoriale ucraina era garantita dalla stessa Russia in ben due trattati: nel Memorandum di Budapest (1994) e nel “Trattato d’amicizia russo-ucraino” (1998). La neutralità ucraina era il prodotto di quei trattati, ma l’invasione russa del 2014 ha rimesso tutto in discussione. Tuttavia l’Ucraina non ha mai ospitato missili o armi puntate verso la Russia, e il paese è rimasto neutrale ancora fino al 2019 quando il governo di Poroshenko ha deciso di inserire in Costituzione l’adesione alla NATO.

È vero che nell’aprile 2008 l’amministrazione americana aveva fatto vaghe promesse a Kiev in merito a una futura adesione ma l’invasione della Georgia da parte dei russi, nell’agosto dello stesso anno, aveva chiarito al mondo che Mosca non sarebbe rimasta a guardare. Da quel momento in poi, la questione è stata accantonata e nessun processo di integrazione alla NATO (Membership action plan) è mai stato avviato.

Ora, se la guerra dovesse tradursi in una sconfitta per Mosca, è assai probabile che l’Ucraina ottenga la possibilità di aderire alla NATO – cosa che va già chiedendo da mesi – condannando così la Russia ad avere l’Alleanza atlantica sotto casa. Un esito che rappresenterebbe davvero una minaccia per la Russia e di cui i russi dovrebbe chiedere conto a Vladimir Putin il quale, invece di proteggere il suo paese, lo ha lanciato in un’avventura militare senza sbocchi.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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