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LITUANIA: Il diritto all’aborto è sotto attacco

Il parlamento lituano ha compiuto il primo passo verso l’approvazione di emendamenti alla legge I-1562 del 1996 sul diritto dei pazienti e sulle compensazioni per i danni alla salute. I cambiamenti proposti dall’ex ministro della sicurezza sociale e del lavoro, Linas Kukuraitis, prevedono l’obbligo per i ginecologi di informare le donne intenzionate ad abortire della possibilità di frequentare i “centri di crisi della gravidanza”. Ciò che da alcuni è considerato un cambiamento necessario per aumentare la quantità delle informazioni disponibili alle cittadine è ritenuto da altri un possibile passo verso l’abolizione del diritto all’aborto recentemente acquisito. 

I Centri di Crisi della Gravidanza

Il diritto all’aborto è stato reintrodotto in Unione Sovietica a partire dal 1955 grazie all’allora ministro della salute Maria Kovrigina. Infatti, sebbene già dopo la caduta dell’ultimo zar Nicola II era stato permesso alle donne di porre fine ad una gravidanza indesiderata affidandosi a cliniche mediche, questa possibilità era stata sospesa nel 1936 rendendo chi abortiva colpevole di reato, e quindi, perseguibile penalmente. Oggi, grazie alla legge del 1994 le cittadine lituane possono interrompere una gravidanza entro la dodicesima settimana di gestazione assistite da medici ginecologi e istituti certificati. Da qualche anno a questa parte, però, a queste figure si sono affiancati i “centri di crisi della gravidanza” (CPC), ovvero, cliniche non sanitarie che, mascherandosi da assistenti imparziali, tentano di convincere le donne a non abortire fornendo informazioni fuorvianti ed esercitando pressione psicologica. Comprendere di essersi affidati ai CPC non è facile e gli emendamenti proposti dall’ex ministro Kukuraitis potrebbero aumentare considerevolmente il numero di donne che si rivolgeranno ad essi.

La preoccupazione dei difensori dei diritti umani e della comunità medica

Le modifiche proposte da Kukuraitis prevedono, infatti, che tutte le donne che intendono abortire, a prescindere dalla necessità o meno di supporto psicologico e informativo, siano avvisate della possibilità di frequentare i CPC. Secondo l’ex ministro, questa modifica permetterebbe allo Stato baltico di aumentare sensibilmente le informazioni a disposizione delle cittadine che, comunque, sarebbero poi libere di scegliere se portare o meno a termine la gravidanza. L’apparente libero arbitrio di cui godrebbero, però, non convince i difensori dei diritti umani e la comunità medica che sono preoccupati per i possibili effetti collaterali. Prima di tutto, si teme che la notifica dell’esistenza di queste strutture da parte di personale medico certificato si trasformi in un vero e proprio indirizzamento ad essi, e che la richiesta di informazioni si concluda con un lavaggio del cervello con conseguente nascita di dubbi, sentimenti di vergogna e sensi di colpa. Inoltre, a seguito di un aumento di affluenza a questi centri, lo Stato potrebbe decidere di dedicare più risorse ad essi e di farli entrare nel panorama pubblico permanentemente. Una volta sedimentati nel sistema, gli istituti sarebbero in grado di  influenzare negativamente l’opinione di ancora più cittadini portando, plausibilmente, ad un incremento dei votanti favorevoli all’abolizione di un diritto acquisito dalle donne solo pochi anni prima.

L’evoluzione della vicenda è da tenere sotto controllo

La proposta di Kukuraitis è ancora in stato di valutazione ma gli attivisti dei diritti umani temono il peggio. Per ostacolare l’influenza dei CPC sull’opinione pubblica riguardo a temi legati alla salute sarà necessario che gli emendamenti non siano approvati. Per ora, ciò che il Centro Lituano dei Diritti Umani (Lietuvos žmogaus teisių centras) ed altri attivisti quali Morgana Danielė, membro del Freedom party lituano, stanno facendo è chiedere ai membri del Seimas, il Parlamento lituano, di non votare a favore delle modifiche e di sensibilizzare i cittadini sul tema. La speranza è che i parlamentari si rendano conto dei potenziali effetti negativi di un’eventuale approvazione e collaborino affinché il Paese non si unisca al numeroso gruppo di Stati conservatori che stanno minando i diritti e le libertà delle donne in questo ambito.

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Immagine: Balticworlds.com

 

Chi è Sofia Mariconti

Classe ’97, è una studentessa magistrale all’ultimo anno dell’università di Bologna dove frequenta il MIREES (Interdisciplinary Research and Studies on Eastern Europe). Appassionata di est-Europa e Russia, dopo aver trascorso un semestre in Lituania, sta svolgendo un tirocinio presso LAPAS.lv in Lettonia. Per East Journal, prima testata con cui collabora, scrive principalmente di attualità.

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