Perché non si è presa in considerazione, negli anni precedenti la guerra, la possibilità di offrire alle regioni di Donetsk e Lugansk una forma di autonomia che tenesse in considerazione alcune legittime aspirazione separatiste, pur mantenendo il Donbass sotto controllo ucraino, riaffermando la sovranità e l’integrità territoriale di Kiev? La domanda, posta da un lettore, merita una risposta articolata. Ci proviamo.
Il rifiuto del federalismo
Gli stati post-sovietici sono stati connotati da un forte centralismo. Il rifiuto del modello sovietico è coinciso anche con il rifiuto del modello federale che l’URSS – almeno formalmente – incarnava. Solo la Russia ha mantenuto un ordinamento federale andando però incontro, nei primi anni Novanta, a spinte secessioniste che non fecero che confermare agli occhi dei paesi vicini l’opinione negativa verso ogni forma di federalismo. Inoltre, in molti stati post-sovietici era presente una cospicua minoranza russa. Si temeva quindi che un sistema federale potesse favorire le ingerenze di Mosca.
Il centralismo si è rivelato un problema in alcuni paesi, come la Georgia, la cui complessità etnica mal si adattava a uno stato in cui tutto veniva deciso da unico centro amministrativo, espressione del gruppo etnico dominante. In Ucraina, all’indomani dell’indipendenza, si decise di dare la cittadinanza a tutti, senza distinzione di lingua o di origine. Il nuovo stato ucraino rifiutò quindi di assumere connotati etnici o nazionali, aggregando le minoranze e favorendo l’utilizzo delle lingue minoritarie. Il vero nodo era però la Crimea.
Federalismo anticamera del separatismo?
La dichiarazione di indipendenza ucraina (1991) è stata seguita dall’incertezza sullo status della Crimea, regione a maggioranza russofona e interessata dalla presenza militare russa presso la base di Sebastopoli. La Crimea fu una repubblica socialista autonoma dal 1921 al 1945, per poi diventare un semplice oblast’ russo fino al 1954 quando fu trasferita sotto l’autorità dell’Ucraina sovietica. Nel 1991, a seguito della dissoluzione dell’URSS, la Crimea proclamò l’autogoverno recuperando la denominazione di “repubblica socialista autonoma” in vigore fino al 1945. A seguito di trattative, nel 1992 in Crimea si tenne un referendum per l’adesione formale alla nuova Ucraina indipendente. In cambio, la penisola ottenne l’autonomia regionale con la denominazione di Repubblica autonoma di Crimea. I problemi però restavano.
Nel 1994 venne eletto presidente della Repubblica autonoma di Crimea, Yuriy Meshkov, il quale cercò di portare avanti un progetto di unificazione con la Russia. Nello stesso anno, però, la Russia firmò il Memorandum di Budapest in cui si impegnava a farsi garante della sicurezza, della sovranità e dell’integrità territoriale ucraina in cambio della dismissione, da parte di Kiev, del proprio arsenale nucleare, che era il terzo più grande al mondo. Mosca non aveva quindi alcun interesse ad accrescere la tensione con Kiev e fu così che El’cin scaricò Meshkov lasciandolo al suo destino. Gli ucraini a quel punto dichiararono illegale la Costituzione crimeana e arrestarono Meshkov, condannandolo all’esilio in Russia.
Nel 1995 una nuova Costituzione, in cui si riconosce l’appartenenza allo stato ucraino, venne ratificata dalla Crimea. Nel 1998 con il “Grande trattato” di amicizia russo-ucraino, Mosca e Kiev si accordarono infine sui confini reciproci e la Russia riconobbe ufficialmente la Crimea come parte dell’Ucraina. Il caso della Crimea aveva confermato i timori di Kiev rendendo ancor più evidente come il federalismo potesse trasformarsi nell’anticamera del separatismo.
Il caso del Donbass
Tutto questo cosa c’entra con il Donbass? C’entra, in quanto spiega perché le autorità di Kiev non abbiano mai ritenuto possibile la concessione di un’autonomia al Donbass temendo l’ingerenza di Mosca e le derive separatiste. Inoltre, non ci fu mai davvero la necessità (né la richiesta) di un’autonomia per il Donbass in quanto fino al 2014 l’élite politica ucraina proveniva da quelle regioni: uomini come Leonid Kučma – primo ministro (1992-1993) e poi presidente (1993-2004) – e Viktor Janukovyč – primo ministro (2002-2007) e presidente (2010-2014) – erano diretta espressione degli interessi del Donbass, dove mantenevano affari e clientele. Il Donbass era infine il feudo dell’oligarca Rinat Achmetov, il più ricco del paese, finanziatore di Janukovyč e, successivamente, delle milizie filorusse operanti nella regione. L’autonomia del Donbass avrebbe quindi incrementato il potere di Achmetov nella regione, e non era una strada percorribile.
Solo con la Rivoluzione di Maidan (2014) il Donbass è diventato il centro di spinte separatiste. Tuttavia è bene ricordare come il separatismo fosse un’esigenza minoritaria alimentata dalla penetrazione di agitatori e paramilitari provenienti dalla Russia. Se è vero che, con il successo della Rivoluzione di Maidan e la fuga di Janukovyč (2014), una parte della popolazione del Donbass si sentì orfana di un punto di riferimento politico, non è invece vero che coltivasse desideri di annessione con la Russia. Un sondaggio dell’IRI condotto nel marzo 2014 mostrava come il favore verso l’integrazione con la Russia non fosse elevato: 33% a Donec’k, 24% a Luhans’k e Odessa, 15% a Kharkiv.
Gli Accordi di Minsk
Mascherandola da guerra civile, i paramilitari filorussi appoggiati dall’esercito regolare di Mosca cominciarono a occupare il Donbass dall’aprile 2014, di fatto sottraendolo al controllo di Kiev. Gli Accordi di Minsk del 2015, siglati proprio per fermare la guerra nel Donbass, prevedevano tra le altre cose che l’Ucraina realizzasse una riforma costituzionale in senso federale. Si trattava di una precisa volontà di Mosca, cui Kiev non diede mai seguito malgrado l’insistenza degli “alleati” occidentali. Questo punto degli Accordi di Minsk non è mai stato implementato da Kiev che temeva l’ingerenza russa nelle regioni autonome, sia attraverso la pratica della distribuzione di passaporti, sia attraverso l’elezione di rappresentanti separatisti (in Crimea si era assistito a entrambe le cose, addirittura con la presenza di Russia Unita – il partito di Putin – nel parlamento regionale).
La guerra nel Donbass non è quindi l’esito di un mancato riconoscimento dell’autonomia regionale degli oblast di Lugan’sk e Donet’sk, in quanto nessuna necessità o richiesta in tal senso era pervenuta prima del 2014. E, quando infine si è cominciato a ipotizzare soluzioni federali, il Donbass era ormai occupato dai russi impedendo a Kiev qualsiasi azione. Ecco perché la concessione dell’autonomia non avrebbe potuto evitare la guerra, perché la richiesta di autonomia è venuta solo dopo la guerra, in modo pretestuoso e strumentale agli interessi di Mosca.
Scriveva George Orwell: “Chi controlla il presente, controlla il passato. E chi controlla il passato, controlla il futuro”. La domanda del lettore da cui siamo partiti ha consentito di rimettere in ordine i vari tasselli di una vicenda complicata e poco nota, che il Cremlino cerca di riscrivere a proprio uso e consumo. Non lasciamoglielo fare.