L’Ungheria promuove ormai da anni un’azione di supporto ai cristiani perseguitati di tutto il mondo: segno di una nuova diplomazia?
L’Ungheria di Viktor Orbán sembra aver trovato il suo posto nell’arena della diplomazia internazionale. Seguendo i passi del collega turco Erdoğan e della sua “diplomazia delle moschee”, Budapest sta cercando – con qualche successo – di ergersi a protettrice dei cristiani nel mondo.
Contro Bruxelles
Ha fatto discutere la notizia che la lista delle personalità russe sanzionate all’interno del sesto pacchetto UE non avrebbe incluso il patriarca Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa. L’Unione ritiene che il patriarca supporti l’invasione dell’Ucraina e aiuti a diffondere la propaganda russa. Orbán aveva già in precedenza dichiarato che sanzionare personalità religiose era tra le linee rosse che il governo di Budapest non avrebbe permesso di superare.
Le pressioni da parte del patriarca siro-ortodosso di Antiochia, del capo degli affari esteri della Chiesa ortodossa armena e del consigliere del prelato al potere della Chiesa ortodossa ungherese hanno spinto Orbán ad agire. Il leader ungherese ha infatti ricevuto una lettera ricca di elogi dagli esponenti religiosi: in quanto ultima voce sensata a protezione del Cristianesimo in UE, Orbán avrebbe dovuto bloccare la Commissione. Una lettera lusinghiera dello stesso tipo era arrivata al primo ministro ungherese dallo stesso patriarca Kirill, che si è anche congratulato della sua recente rielezione.
Protezione umanitaria
Budapest si è anche mossa in situazioni di crisi umanitaria in Africa e Medio Oriente. Dopo il sanguinoso attacco terroristico dello scorso 5 giugno ad Owo, in Nigeria sud-occidentale, il governo ungherese ha offerto 10 milioni di fiorini (25.500 euro) in aiuto alla comunità cattolica locale. Il ministro degli esteri Péter Szijjártó ha dichiarato che il contributo sarà destinato alla Chiesa cattolica romana di Ondo per coprire in parte i costi delle cure degli orfani e di chi ha perso familiari. “Il Cristianesimo resta la religione più perseguitata al mondo”, dichiara il ministro. “In quanto nazione cristiana da un millennio, l’Ungheria ha il dovere morale di intervenire in queste situazioni.”
Il vescovo Armash Nalbandian, Primate della diocesi armena di Damasco, ha di recente ringraziato il governo ungherese per il prezioso aiuto nella ricostruzione di chiese e scuole dopo dieci anni di guerra e durante una grave crisi economica. Particolare riconoscenza è andata a Tristan Azbej, Segretario di Stato per l’aiuto ai cristiani perseguitati e per il programma “Hungary Helps”, il quale ha dichiarato che, nonostante gli aiuti si stiano concentrando adesso sulla protezione degli ucraini, l’Ungheria continuerà a supportare i cristiani nel Medio Oriente.
La missione ungherese
Il governo ungherese ha infatti istituito tra il 2016 e il 2017 la funzione di Segretario di Stato per l’aiuto ai cristiani perseguitati e per il programma “Hungary Helps”, con l’obiettivo, appunto, di fornire assistenza alle comunità cristiane nel mondo attraverso i fondi di “Hungary Helps”. A ricoprire il ruolo c’è Tristan Azbej del partito KDNP (Partito Popolare Cristiano Democratico), in lista comune con il Fidesz di Orbán dal 2006.
Azbej ci tiene a precisare che l’aiuto umanitario dell’Ungheria è destinato a risolvere problemi concreti più che a incoraggiare i processi migratori, come nell’Afghanistan dei talebani, dove i cristiani perseguitati che non sono fuggiti sono aiutati in loco o nei paesi limitrofi, o in Iraq, dove l’azione dell’Ungheria, in collaborazione con gli Stati Uniti, si focalizza sul rimpatrio della comunità degli yazidi. Una visione condivisa da diversi colleghi di Orbán (tra i quali il brasiliano Bolsonaro, il polacco Duda, il greco Mītsotakīs e l’ex premier sloveno Janša), che hanno quindi stretto accordi di cooperazione con il programma “Hungary Helps”. In un’intervista con Visegrád Post, Azbej ha criticato chi in sede UE ha percepito l’istituzione del Segretariato come una provocazione, ignorando il sostegno di Budapest ai 340 milioni di cristiani perseguitati nel mondo.
Una politica estera paradossale
Siamo ancora lontani dalla politica decisamente più aggressiva di Erdoğan. Attraverso la Diyanet (prima un’agenzia governativa atta a garantire la laicità delle istituzioni statali e ad allontanare il radicalismo wahhabita, ora de facto organo del partito del presidente), Erdoğan è riuscito a trasformare il supporto alle comunità islamiche nel mondo in vero e proprio soft power turco. Orbán potrebbe però percorrere la stessa strada, se questa garantisse buoni risultati. Per ora il leader ungherese non sembra avere la stessa persistenza del presidente turco: “Hungary Helps” si è ad esempio impegnata ad aiutare gli armeni colpiti dalla guerra del Nagorno-Karabakh, mentre il governo ungherese supporta formalmente l’Azerbaijan. Ergo, la buona vecchia diplomazia del petrolio ha ancora la meglio.
Foto: Orbán a Kazàn’ nel 2015 (foto dal profilo Facebook di Orbán Viktor)