Circola in queste ore un elenco con i nomi di influencer, giornalisti, manager e parlamentari che sarebbero “putiniani”. La lista, diffusa dal Corriere della Sera, è stata ripresa da molte testate e raccoglie nomi più o meno illustri finiti – secondo il Corriere – nel mirino del Copasir. Diciamo subito, e poi argomentiamo, che l’operazione di pubblicare liste di proscrizione ci appare squallida e moralmente misera. Inoltre, ci sembra un pessimo segnale per la salute della nostra libera stampa che, con l’avvio dell’aggressione russa all’Ucraina, ha il larga misura indossato l’elmetto – atteggiamento comprensibile, se il nostro fosse un paese in guerra, ma non lo è.
Una questione di sicurezza nazionale?
Il Copasir è un comitato parlamentare, si tratta cioè di deputati e senatori che hanno il compito di verificare che le attività dei nostri servizi segreti siano in linea con la Costituzione, e può condurre inchieste acquisendo documenti sia dall’intelligence che dalla magistratura. Attualmente è guidato da Adolfo Urso, senatore di Fratelli d’Italia, il quale ha avviato degli accertamenti sull’obiettività dell’informazione giornalistica. Basterebbe questo a far rizzare i capelli in testa a chiunque abbia a cuore quella delicata – e maltrattata – cosa che chiamiamo democrazia. Lo scopo dichiarato è evitare inquinamenti da parte della disinformazione russa al fine di garantire la sicurezza nazionale. Ecco allora che arriva il controllo sugli ospiti dei talk-show e, infine, l’elenco dei “filo-russi”. Ma quella della sicurezza nazionale è una giustificazione pericolosa, perché inappellabile e non verificabile.
Agli inizi di maggio, da alcuni account collegati a siti e canali di “controinformazione”, è partita una campagna di mail bombing verso il Senato, e il primo ministro Draghi è stato variamente minacciato. Esiste quindi un problema relativo all’ingerenza russa in Italia? Assolutamente sì, e non da oggi. Ma un conto è il controllo parlamentare sugli organi di stampa pubblici che, per quanto spiacevole, ha una sua legittimità. Un altro è individuare cittadini – analisti, professori, blogger – che esprimono un’opinione, una visione del conflitto, per quanto falsa, settaria e parziale essa sia.
Le liste di proscrizione
La redazione di liste di “filorussi” da parte di testate nazionali un tempo rispettabili, è sintomo del clima persecutorio che si respira nel paese. La demonizzazione dell’opinione contraria e la polarizzazione del dibattito pubblico, cui abbiamo assistito anche nei mesi più acuti della pandemia, è in larga parte responsabilità dei media i quali diffondono narrazioni semplificate e superficiali, quando non apertamente faziose, alimentando per reazione complottismi e dietrologie.
Il sistema dei media si autofagocita, crea personaggi controversi, rimbalza sui social, cerca audience e non verità, intrattiene e non informa, e – con l’inizio della guerra – ha proiettato alla ribalta nazionale fanfaroni, ignoranti, e prezzolati, disinteressandosi della verità del conflitto. Ora, quegli stessi fanfaroni e prezzolati vengono sbattuti in prima pagina come nemici. Si tratta di un meccanismo terribile che rende infine indistinguibile chi invece lavora con competenza e serietà, e ce ne sono tanti nel nostro giornalismo.
La falsa coscienza del nostro giornalismo
Da anni la Russia finanzia propri organi di stampa all’estero. Tutto è cominciato con Russia Oggi, che faceva parte del progetto Russia Beyond the Headlines, finanziato dalla Rossiyskaya Gazeta, uno dei principali quotidiani russi. La Rossiyskaya Gazeta (www.rg.ru) è la gazzetta ufficiale del governo russo, sede della pubblicazione ufficiale di leggi, decreti e dichiarazioni ufficiali delle istituzioni statali. Tra le sue controllate c’erano La Voce della Russia, sito in lingua italiana dell’omonima radio, organo di propaganda del Cremlino, e la già citata Russia beyond the Headlines. Quest’ultima promuoveva la realizzazione di Russia Oggi con cui avviò una partnership con molti giornali europei – generalmente conservatori – tra cui Le Figaro in Francia, Le Soir in Belgio, il Daily Telegraph in Gran Bretagna – quest’ultimo riceveva 40mila sterline al mese per la diffusione di un inserto dal titolo “Russia Now“. Tra i giornali coinvolti c’era anche La Repubblica, giornale del gruppo editoriale L’Espresso, che pubblicava anche la rivista di geopolitica Limes la quale all’epoca annoverava, nel suo comitato scientifico, personalità legate a ENI e Gazprom. Dal 2017 Russia beyond the Headlines viene assorbito da RIA Novosti, agenzia di stampa russa. La produzione dell’inserto “Russia Oggi” venne sospeso anche perché il Cremlino preferì convogliare le risorse verso Sputnik e Russia Today, organi di propaganda più capillari ed efficaci, fondati nel 2014. Un riassunto della vicenda si trova qui.
L’agenzia ANSA ha ancora in vigore un accordo con l’omologa russa TASS. Si tratta di un cooperation agreement che prevede la ripubblicazione dei contenuti prodotti dall’agenzia russa. E poco conta se si tratta di diffondere propaganda. Da gennaio non risultano modifiche negli accordi presi con TASS. La disinformazione russa arriva anche così.
La penetrazione della propaganda russa in Italia non è quindi cosa nuova. Le persone iscritte nella lista dei “putiniani d’Italia” sono solo la punta dell’iceberg di un processo di penetrazione molto più profondo e di lunga durata.
Combattere la propaganda
La propaganda si combatte solo attraverso un’informazione accurata, onesta, libera e indipendente. La chiusura degli organi di propaganda russa, Sputnik e Russia Today, è stato un errore, come lo sono le liste degli ipotetici nemici interni. La libertà di stampa e opinione è un diritto, sempre. Se davvero crediamo nella forza della nostra democrazia, allora dobbiamo combattere la propaganda attraverso un’informazione di qualità, credibile e autorevole. Ma – a vedere da quello che viene pubblicato sui nostri giornali – siamo molto lontani da questo obiettivo. Più facile quindi censurare, trincerarsi, indossare l’elmetto e sparare ad alzo zero.
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