Da NOVI BEOGRAD – Arrivando dalla Croazia, l’autostrada “Unione e Fratellanza” conduce diretta al centro di Belgrado. Il benvenuto nella capitale serba lo dà l’imponente Geneks, grattacielo a due torri collegate da un ponticello detto anche Zapadna kapija, ingresso occidentale attraverso quel quartiere in cui, urbanisticamente, il socialismo fu come l’universo: in espansione. Stretto tra la Sava e il Danubio, Novi Beograd è il comune jugoslavo dove il cosiddetto brutalismo trovò il suo massimo splendore. Nonostante ricopra quasi metà della superficie belgradese, il tratto autostradale che lo attraversa scorre velocemente. Non ci si fa caso e se lo si fa, la prima impressione è negativa: grigiore; squadrature; monotonia. La velocità con cui si arriva nel centro della capitale dell’ex Jugoslavia esprime la principale caratteristica di Novi Beograd: la supremazia della funzionalità sull’estetica. Ed è proprio questo il suo bello.
La rivincita dell’architettura socialista
Dopo la Seconda guerra mondiale, Belgrado era una città distrutta dove arrivarono centinaia di migliaia di persone da tutto il paese. Dai 200mila prima della guerra, la città raggiunse presto il milione di abitanti. La necessità di nuove abitazioni era enorme. La grande distesa paludosa compresa tra l’incrocio dei due fiumi e Zemun – bastione meridionale dell’impero austroungarico – fu il posto ideale per soddisfare questa domanda. Quella che prima era una No Man’s Land, impervio terreno di confine tra Oriente e Occidente, divenne il centro politico di un nuovo, ambizioso e moderno stato socialista.
Il nuovo governo ricostruì in un colpo solo spirito e città jugoslave. Lo fece con le Omladinske radne brigade. Giovani di tutti i popoli costituenti jugoslavi lavorarono insieme per rimettere in piedi ciò che l’occupazione nazifascista aveva distrutto. Novi Beograd nacque così. Dagli anni Cinquanta, sorsero decine di “blocchi”, la cui numerazione oggi sembra casuale ma segue l’ordine cronologico di costruzione. Oltre che per dare alloggio ai tanti nuovi belgradesi, Novi Beograd avrebbe ospitato le principali istituzioni del potere jugoslavo: il Consiglio Federale Esecutivo (SIV) e il Comitato Centrale della Lega dei Comunisti Jugoslavi.
Costruire una città nella città su una tabula rasa, sia fisica che storica, simboleggiava l’inizio di un nuovo corso, geograficamente contrapposto alla parte antica al di là della Sava, dove si trovano le istituzioni che fino ad allora avevano governato il paese: i palazzi reali, così come il patriarcato della Chiesa Ortodossa Serba. In questo senso, i blocchi in cemento di Nuova Belgrado erano una finestra sul futuro socialista del paese. Uno spazio nuovo, appropriato da una nuova ideologia, e proiettato verso una nuova epoca.
Quando poi nel 1948 si arriva allo scisma tra Tito e Stalin, l’architettura jugoslava devia dalla tradizione sovietica e si sviluppa su un orientamento modernista. “Una svolta decisiva dall’allora dominante modello del realismo socialista, indirizzato a un nuovo discorso dell’architettura contemporanea più appropriato per le mutate condizioni socio-politiche ed economiche”, come scrive la professoressa Ljiljana Blagojevic. È questa la peculiarità di Novi Beograd: riflettere spazialmente un cambiamento temporale, che fu innanzitutto sociale e politico. “Nella nuova società – continua Blagojevic – l’identità della contemporaneità architettonica doveva essere re-inventata e, ovviamente, ciò doveva essere fatto in modo da riflettere la specificità del progetto politico ed ideologico jugoslavo rispetto al resto del mondo comunista/socialista”.
Il fiore all’occhiello della Jugoslavia
Superata la crisi politica ed economica dovuta alla rottura col Cominform, la Jugoslavia entra nel suo periodo d’oro. Internamente, il socialismo dell’autogestione fa crescere l’economia e il potere d’acquisto dei cittadini, mentre internazionalmente il Maresciallo Tito diventa il leader della terza via, una proposta di pace contro i blocchi della Guerra fredda: il Movimento dei non allineati.
È proprio per il primo storico summit del 1961 che a Nuova Belgrado viene ultimato il SIV. Il progetto – a cura di un team di architetti zagabresi guidato da Vladimir Potocnjak e, dopo la sua morte, da Mihailo Jankovic – consiste in un palazzo esteso per 5.500 metri quadri a forma di H. Da un punto di vista stilistico combina modernismo e realismo.
L’interno del palazzo comprende sei grandi saloni, uno per ogni repubblica jugoslava, decorati con mobili ed opere di artisti e designer provenienti dalle rispettive regioni.
Oltre al SIV, meritano una menzione particolare anche altre strutture. L’Hotel Jugoslavia, considerato all’epoca uno dei più grandi in tutto il paese nonché tra i più lussuosi d’Europa; e il già citato Geneks, le cui due torri ospitavano una abitazioni e l’altra uffici, quasi a sintetizzare la natura ambivalente di Novi Beograd. E ancora, il Museo di arte contemporanea, un “cristallo” alla confluenza dei due fiumi, che accoglie opere ed esibizioni d’arte moderna e contemporanea. Ma soprattutto, il centro congressuale Sava Centar, dove si tenne l’undicesimo congresso della Lega dei comunisti jugoslavi e tanti altri eventi internazionali. È una struttura moderna, intesa anche come un esperimento futurista nonché il capolavoro dell’architettura jugoslava.
È anche grazie a questi e tanti altri edifici se Novi Beograd assunse un ruolo centrale nella vita della capitale jugoslava, in rottura con l’esperienza socialista del resto dell’Europa orientale, dove il brutalismo si espresse per lo più in quartieri dormitorio ai margini delle città. Il quartiere non era relegato a quelle periferie dove vi si tornava dopo il lavoro. La sua posizione strategica tra due centri storici, quello di Belgrado e quello di Zemun, ne diede un’ulteriore centralità.
Infine, merita una menzione anche la struttura interna dei singoli blocchi. Ognuno di essi ospita diversi spazi verdi, aiuole curate dai condomini, campi da basket, parchi giochi, negozi, panetterie, supermercati e tante panchine. La funzionalità del quartiere si esprimeva, ed esprime tuttora, sia nella sua quotidiana autosufficienza, sia nel suo porsi come spazio di socialità e ricreazione indipendente dal resto della città.
Transizione e declino
Come si è detto, Novi Beograd nacque come testimonianza dei cambiamenti politici e ideologici della sua epoca. Lo stesso è accaduto dagli anni Novanta ad oggi, con il quartiere che riflette la transizione, rapida e violenta, con cui la capitale è passata dalla Jugoslavia alla Serbia, dal socialismo al capitalismo, dal progresso al declino.
La transizione è palese anche sui singoli edifici: le ampie facciate di Geneks e Sava Centar sono ora il campo di gigantesche pubblicità commerciali, mentre i tetti dei grattacieli sono la nuova dimora di grandi marchi che qui svettano luminosi, ben visibili dall’altra sponda della Sava. Il passaggio dal socialismo al cosiddetto libero mercato ha snaturato Novi Beograd. Quello che prima era il fulcro della vita politica della Jugoslavia, ora è il centro che ospita le più grandi banche del mondo, che coi grandi edifici specchiati hanno occupato gli spazi che l’architettura socialista aveva salvaguardato contro inquinamento acustico a danno degli abitanti e a tutela degli spazi comuni. Emblematico è il caso del grattacielo che ospitava il Comitato Centrale della Lega dei Comunisti: ora è la sede degli uffici che svettano sul sottostante centro commerciale. L’Hotel Jugoslavia non si è mai ripreso del tutto dai bombardamenti NATO del 1999, anche se è stato successivamente riaperto al pubblico.
Infine il SIV. Quello che più armonicamente rappresentava la sintesi dell’unione jugoslava, ospitandone la sede del governo, ha cambiato identità. Il suo nuovo nome ufficiale è “Palazzo della Serbia”, ma tutti continuano a chiamarlo SIV. È qui che il presidente serbo accoglie i capi di stato e di governo in visita nel paese: immagini che sembrano scimmiottare il carisma di quel leader che si pose tra due mondi.
Ciò che a Novi Beograd era di tutti, e pensato per rappresentare tutti, è diventato il podere di pochi nel selvaggio processo di privatizzazione. Quel che sopravvive, tra i meandri in cemento, i vialetti che collegano i civici, sotto i portici dei palazzi e negli spazi verdi comuni, sono i momenti di socialità e condivisione nella quotidiana routine dei neobelgradesi. Qui il lascito del passato resterà visibile e inviolabile, in costante antitesi con il presunto e utopistico progresso, testimone di un tempo e di un’epoca che si realizzarono concretamente nello spazio.