mano Bucha

UCRAINA: Quella mano di Bucha

Visual literacy è la capacità di interpretare e dare significato alle immagini cui – sempre più – veniamo sottoposti, oltre che di crearne a nostra volta. Un eccellente Istituto di ricerche visuali ucraino, il Visual Culture Research Center/Kyiv Biennial, è stato operativo fino allo scoppio delle ostilità a febbraio: ci auguriamo possa riprendere al più presto la propria attività. La guerra ci ha fatto comprendere una volta di più quanto sia importante il ruolo delle immagini che osserviamo, a partire dal riconoscimento di un fake fino ad un’appropriata lettura del messaggio in esse contenuto.

Quella mano di Bucha

Nella cornice del massacro di Bucha, il 3 aprile inizia a circolare la foto di una mano femminile riversa a terra, con le dita leggermente socchiuse. Si vede il pezzo di una giacca blu tra il gomito e il polso; tutt’intorno solo fango e pietrisco. Quello che colpisce sono le unghie di quella mano, curatissime: quattro sono smaltate di rosso vivo, l’anulare di color argento con un cuore nero nel centro. Il fango e il pietrisco si sono infilate tra le dita, trasmettendo in questo modo la sensazione tangibile della morte del soggetto.

Il nome della donna era Irina Filkina, cinquantaduenne operaia di una centrale di riscaldamento a Bucha, che da poco si era iscritta a un corso per make-up artist. A riconoscere quella mano, infatti, è stata immediatamente la sua insegnante, Anastasiia Subacheva, che ha spiegato alla CNN che il cuore disegnato sull’anulare era proprio per rappresentare la decisione di prendersi maggiore cura di se stessa. Filkina aveva due figlie, che aveva già provveduto a mandare lontano dall’epicentro della guerra; lei, invece, si era fermata per aiutare i propri concittadini.

Il 5 marzo la donna aveva provato a salire su una delle auto che evacuavano le persone fuori da Bucha, ma, non trovando posto, aveva deciso di tornare verso casa in bicicletta. La figlia 26enne aveva provato in tutti i modi a convincerla di non fermarsi oltre, di prendere un treno e allontanarsi da Bucha, ma la madre era risultata irremovibile: la loro ultima conversazione era ruotata intorno a questo argomento. Nel video registrato da un drone prima del 10 marzo, passato anche nei canali televisivi italiani, si osserva un carro armato russo che esplode quattro colpi in direzione di una persona che ha appena voltato l’angolo e regge una bicicletta: è Irina Filkina. Un secondo video postato su Twitter e geolocalizzato dalla CNN, nonché le foto della Reuters, sembrano fornire la certezza definitiva.

Questo scatto della mano curata dalla manicure, seppur riconducibile ad un corpo senza vita, ha fatto breccia persino più di tutti quelli concentrati sui cadaveri, le fosse comuni, le tombe di Bucha. La ragione sta anzitutto in quanto dichiarato dalla figlia di Irina, Olga: “Voglio che l’immagine della sua mano sia simbolo di un nuovo inizio“, ha detto. “Questo simbolo dice agli occupanti che possono farci qualsiasi cosa, ma non possono sottrarci la cosa principale: l’amore. L’amore per le persone, che loro non hanno”.

Per nulla casualmente, la locandina italiana della Notte dei morti viventi di Romero del 1968, film culto popolato da zombi in cui qualcuno volle riconoscere proprio i sovietici, riporta il disegno di una mano che esce dal terreno: la cosa che fa più orrore di uno zombi che torna in vita sarebbe, dunque, proprio la sua mano.

Due mani molto curate, ma evidentemente maschili, caratterizzano invece la locandina internazionale del film La promessa dell’assassino di David Cronenberg (2007): sono quelle del protagonista, Nikolai Luzhin, magistralmente interpretato da Viggo Mortensen. I tipici tatuaggi della mafia russa sono presenti sulle estremità delle dita della mano sinistra; mentre la destra riporta un unico tatuaggio sul dorso: север (nord), con il sole all’orizzonte. Significa che la persona proviene dal nord della Russia, noto per essere più ostile ed estremo di altre aree. Anche in questo caso, dunque, le mani sono collegate alla violenza e alla morte che caratterizzano la figura di Nikolai; il fatto che l’immagine sia sovrastata dal titolo, in cui si cita l’assassino, stringe definitivamente l’associazione.

La mano di Irina, segno di cura e rispetto per sé stessi, trascende altresì la morte attraverso l’amore; soverchia e ribalta tutte le associazioni nefaste che siamo soliti attribuire alle mani di un defunto. La potenza della foto che la ritrae, con la forza e la speranza che induce, riesce infine ad annichilire i preconcetti visivi assimilati intorno al soggetto.

Chi è Alessandro Ajres

Alessandro Ajres (1974) si è laureato all’Università di Torino con una tesi su Gustaw Herling-Grudziński, specializzandosi nello studio della lingua e letteratura polacca. Nel 2004 ha conseguito il dottorato di ricerca in Slavistica con un lavoro sull’Avanguardia di Cracovia, da cui scaturirà poi il volume Avanguardie in movimento. Polonia 1917-1923 (Libria 2013). Attualmente è professore a contratto di Lingua Polacca all’Università di Torino.

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