Mentre l’Ucraina è colpita dalle bombe del Cremlino, sulla piazza Rossa va in scena l’annuale parata che – ogni 9 maggio – ricorda la vittoria sulla Germania nazista nel 1945. Il Giorno della Vittoria è stato celebrato raramente durante l’era sovietica ed è stato recuperato solo nel 1995, quando l’allora presidente russo, Boris Eltsin, volle celebrarne il 50° anniversario. Ma è stato Vladimir Putin a renderlo un evento annuale con tanto di parata ed esibizione militare, costruendo attorno a questa data simbolica l’identità di una Russia che si vuole liberatrice d’Europa. Una liberazione che molti paesi del vecchio blocco sovietico ricordano come un’oppressione dalla quale si sono liberati solo nel 1989, a seguito di proteste, rivoluzioni e primavere – come quelle di Budapest e Praga – che hanno contribuito a sgretolare il Muro che le imprigionava dietro la celebre Cortina di Ferro.
Vladimir Putin ha trasformato questa ricorrenza in un’esibizione di forza, nonché un’occasione per ricordare i sacrifici della Seconda guerra mondiale, quando ventisette milioni di cittadini sovietici morirono in quella che i russi chiamano la Grande guerra patriottica. Nella memoria russa il secondo conflitto mondiale è un evento cardine attorno a cui si coagula l’identità nazionale. Lo sforzo di liberarsi dal nazifascismo, che aveva letteralmente invaso il paese, ed è costato il sacrificio di milioni di persone, coincide con la liberazione d’Europa e conferma il ruolo messianico della Russia il cui “destino manifesto” di espandersi sul continente portando la propria superiore civiltà, quella comunista allora, quella patriarcale e tradizionalista oggi.
Nella narrativa del potere, il ruolo “liberatore” della Russia continua ancora. Sia nell’opposizione al progetto europeista – che ha impedito ogni nuova proiezione russa sul vecchio continente – descritto come una cappa oppressiva, debole e corrotta, cui Mosca oppone il più ampio e (a suo dire) spiritualmente superiore disegno eurasiatista; sia nella lotta contro un nuovo ipotetico nazismo risorgente che, dall’Ucraina, rischia di contagiare i paesi vicini. Una narrativa portata avanti da molti leader politici europei che, nell’anti-utopia della “democrazia illiberale” nascondono relazioni d’interesse con Mosca.
Quest’anno l’evento assume un significato particolare. Doveva essere una marcia per celebrare la vittoria su Kiev ma la resistenza ucraina ha fin qui fatto saltare i piani di Mosca. Doveva essere una parata sulle macerie di Mariupol’, ma le rovine in mondovisione rischiavano di smentire la propaganda dei “salvatori”. Così la parata vedrà i reggimenti sfilare sulla piazza Rossa, per primi quelli che hanno svolto un ruolo chiave nella guerra contro l’Ucraina. Il presidente ne approfitterà per mandare il proprio messaggio alla città e al mondo.
La maggior parte dei messaggi relativi al Giorno della Vittoria sono però diretti alla popolazione russa. C’è infatti da organizzare e mantenere il consenso nei confronti del conflitto contro l’Ucraina. Sfruttando la narrativa della Seconda guerra mondiale, il Cremlino è in grado di suscitare forti sentimenti dei russi perché sono molti ad avere parenti che sono morti o hanno lottato durante la guerra. Tuttavia, mentre le celebrazioni si svolgeranno in tutta la Russia, nei paesi vicini il 9 maggio è diventato sempre meno significativo. Il Kazakistan ha annullato la sua parata militare per il terzo anno consecutivo e la Lettonia l’ha dichiarata Giornata della Memoria – ma per le vittime della guerra russa in Ucraina.
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