Ferentari, nella periferia di Bucarest, è da decenni vittima di negligenza e politiche volutamente razziali. Storia di un quartiere.
Ferentari, settore 5 di Bucarest, periferia sud. Il quartiere, il più povero della città, è abitato in larga parte da Rom. A metà Ottocento, Ferentari era una delle aree più industrializzate del paese; durante il periodo socialista, numerose famiglie operaie e piuttosto povere si sono trasferite nel quartiere. La deindustrializzazione a cavallo del nuovo millennio ha aggravato la situazione, già precaria, spalancando le porte a fame e delinquenza.
Ferentari si presta facilmente ad una macabra pornografia del degrado, come dimostrato dal triste viavai di tabloid inglesi nel 2014, quando il mercato del lavoro rumeno e bulgaro è stato liberalizzato e si è cominciata a prospettare l’invasione dei soggetti ripresi in camera. L’alta presenza di tossicodipendenti, spesso giovanissimi, e prostitute è innegabile, soprattutto nel “ghetto nel ghetto”, la Strada Livezilor. La reputazione di un inavicinabile quartiere-inferno ha tuttavia impedito l’emergere di qualsiasi soluzione credibile e pragmatica.
I motivi di tanto degrado
Le cause del degrado di Ferentari sono da imputare ai due approcci che le istituzioni hanno adottato nella gestione della periferia di Bucarest: da un lato, il disinteresse socialista; dall’altro il “capitalismo razziale”. A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, di fronte all’arrivo in massa di lavoratori poco qualificati dalle campagne, Nicolae Ceaușescu ha ordinato la costruzione di numerosi blocchi in stile sovietico, situati in periferia, per ospitare le famiglie delle fasce meno abbienti.
L’assegnazione stessa degli appartamenti, gestita dalle fabbriche, tendeva ad offrire abitazioni di maggiore qualità ai lavoratori più qualificati. Quelli più svantaggiati, appunto, erano spesso di origine rom. L’approccio del regime socialista, a prima vista inclusivo, puntava ad assimilare lavoratori romaní e non. Ignorare la “questione rom” ha però impedito di risolvere un problema di precarietà evidente, perpetrando gli stereotipi già esistenti tra la popolazione.
Alla caduta del regime, il vuoto istituzionale ha lasciato Ferentari nella completa anarchia: gli appartamenti abbandonati sono stati perlopiù occupati dai Rom provenienti dalle campagne impoverite intorno a Bucarest. I controlli assenti, Ferentari è diventato un tassello della rotta balcanica di oppiacei provenienti da Pakistan e Afghanistan, sia in ottica di mercato, ma anche come laboratorio per nuovi tagli di droga. La risposta delle istituzioni altro non è stata che una politica di arresti e stigmatizzazioni, non priva di un certo tornaconto: tenere i Rom in una delimitata area geografica permetteva infatti di non delocalizzare il problema.
Il Piano di rigenerazione urbana
L’approccio non è cambiato negli ultimi decenni: l’unico centro di assistenza per Rom e tossicodipendenti, il Caracuda, che aveva l’obiettivo di diventare la prima sala di consumo legale in Romania, è stato chiuso dal sindaco del settore. È in queste condizioni che si inseriscono “capitalismo razziale” e neoliberalismo.
Nel 2019, il sindaco del settore 5 ha annunciato che Ferentari sarà al centro di un “Piano di rigenerazione urbana” all’interno del “Bucharest Centenary Project”, progetto che ha l’obiettivo di cambiare il volto dell’area sud della città. Il piano, ideato in collaborazione con la Banca Mondiale, ha tutti i presupposti per dare il colpo di grazia agli abitanti di Ferentari: non è chiaro dove questi finiranno (molti non dispongono neanche di documenti) quando i blocchi di Ceaușescu saranno demoliti e sostituiti da grattacieli, ampi spazi pedonali green ed un parco scientifico high-tech.
Le storie
Messi da parte istituzioni assenti e giornalismo sensazionalistico, restano le storie. Come quella di Valeriu Nicolae, cittadino romaní che dedica la sua vita a fornire tetto, cibo e accesso all’istruzione ai bambini del quartiere, osteggiato dal sindaco del settore. O quella di Adrian Schiop, scrittore di I soldati. Racconto di Ferentari, storia a tema LGBT ambientata nel quartiere ed aspra critica ai salotti della Bucarest di sinistra, trasposta in Soldiers. Story From Ferentari dalla serba Ivana Mladenović. Ma anche quella dell’antropologo ungherese Gergő Pulay che, dopo aver vissuto un anno e mezzo a Ferentari per condurre uno studio, ne offre un’immagine ben più sfumata, ovvero quella di un quartiere misto, con determinate prassi culturali e solide tradizioni, piuttosto distante dalle foto della stampa scattate su due o tre strade.
Foto: Pixabay, GabrielLucian