Putin Zelensky

Il confronto tra Putin e Zelensky è già un mito moderno

Com’era inevitabile avvenisse, col trascorrere dei giorni la guerra si sta polarizzando sempre più intorno alle figure di Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin. Eppure il presidente ucraino inizialmente era piuttosto accusato di voler intrattenere buoni rapporti con Mosca.

Zelensky sul tapis roulant

Julija Tymoshenko considerava Zelensky più o meno alla stregua di un collaborazionista di Putin, dato che aveva promesso la fine delle discriminazioni per chi parla russo, nonché di voler trattare con il presidente russo su Crimea e Donbass. Inoltre, Zelensky si era detto contrario all’oscuramento delle tv russe e al divieto di ingresso nel paese a personaggi sgraditi della cultura o dello spettacolo.

Nel 2019 Zelensky pare rincorrere Putin, oltre che diplomaticamente, anche fisicamente: il neopresidente ucraino registra un video in cui cammina sul tapis roulant, metafora dei rapporti tra i due paesi. “Senza dialogo è come sul tapis roulant: camminiamo ma senza muoverci”, dice Zelensky rivolgendosi a Putin.

L’immaturità politica

I due si incontrano per la prima (e ultima) volta a Parigi il 9 dicembre di quell’anno, alla presenza di Emmanuel Macron e Angela Merkel, per riaprire la discussione sugli accordi di pace di Minsk. Gli atteggiamenti che tengono in quella circostanza, peraltro, sono quanto mai rivelatori delle rispettive intenzioni: Zelensky pare emozionato, sorride di continuo (anche quando non dovrebbe); Putin, dal canto suo, sorride solo per dire a Zelensky che deve voltarsi in favore dei fotografi: lo sta palesemente canzonando. Poco prima dell’inizio dei colloqui riservati, inoltre, il presidente russo gioca con l’auricolare e sembra disinteressarsi dell’importanza del momento. Il giorno seguente, dopo la conferenza stampa che illustra i (presunti) risultati dell’incontro, Putin ha buon gioco ad uscire di scena con Macron e Merkel, lasciando Zelensky alle spalle del gruppo e inchiodandolo alla sua immaturità diplomatica. Da quel momento in avanti sarà sempre Zelensky a chiamare Putin, fino all’ultima telefonata cui, nell’immediatezza dello scoppio della guerra, il presidente russo non risponderà.

La fiction e la realtà

Persino i testi della serie televisiva Servant of the people, che stiamo vedendo in questi giorni in Italia, venivano rinfacciati a Zelensky per tacciarlo di eccessiva diplomazia nei confronti di Putin. Per quanto la scrittura dello sceneggiato sia imputabile direttamente a Zelensky, che ne ha curato anche la regia, in realtà occorre evidenziare che i riferimenti a Putin all’interno della serie sono molteplici, e certamente poco lusinghieri. In un articolo precedente abbiamo riportato della scena in cui al personaggio interpretato da Zelensky – chiamato a scegliere un orologio degno di un presidente – viene detto che Putin porta al polso un orologio Hublot. Al che, egli domanda: “Putin chublo?” (in ucraino, chujlo significa testa di cazzo). La scena, a dimostrazione del contenuto poco “gradito”, è stata censurata in gran parte della Russia.

In un altro passaggio, entrando per la prima volta in parlamento, mentre i rappresentanti del popolo sono impegnati in una rissa, il presidente interpretato da Zelensky grida: “Putin è stato deposto” ed ottiene così l’attenzione di tutti. “Ci avevo creduto”, mormora un parlamentare.

Paragoni cinematografici

Per i cultori del cinema, esulando per un attimo dal confronto tra Putin e Zelensky, Giaime Alonge (professore ordinario al DAMS di Torino) ha dedicato una lezione “aperta” al confronto tra Servant of the people e il capolavoro di Frank Capra, Mr. Smith va a Washington (1939), sottolineando i vari punti di contatto.

Intorno al tema su cui è costruito lo sceneggiato con Zelensky, in Italia abbiamo potuto vedere Benvenuto Presidente! (2013) in cui il ruolo presidenziale è interpretato da Claudio Bisio. Ebbene, tutte le pellicole citate hanno in comune il fatto che il presidente o politico improvvisato si distingue per la loro rettitudine che contrasta con quella dei presidenti o politici “di carriera”, così come nel Grande dittatore di Chaplin (1940) il sosia del Führer tiene sul finale il Discorso all’umanità, ovvero quanto di più distante possa esserci dall’ideologia nazista: egli è un semplice barbiere.

Voldemort come Putin

Al di là della sfera cinematografica, Zelensky e Putin sono stati molte volte ricondotti verso modelli rappresentativi del mito, della letteratura o delle arti in genere. È stato avanzato un parallelismo con Davide e Golia, laddove i ruoli non necessitano di essere ulteriormente definiti. Il confronto non ha retto, però, forse anche perché ormai questa guerra ha superato abbondantemente i 40 giorni durante i quali Golia atterrì il popolo di Israele, prima dell’intervento risolutore di Davide.

Il paragone è stato superato, inoltre, da un dualismo ben più recente, ovvero quello tra Harry Potter e Voldemort. Ci sono ormai moltissimi graffiti e opere di street art, soprattutto in Polonia, che raffigurano Zelensky nei panni di Harry Potter e Putin in quelli di Voldemort, quest’ultimo spietato antagonista del giovane mago, dai poteri pressoché illimitati. Voldemort che, peraltro, all’interno della saga ideata da J.K. Rowling insegue degli ideali di purezza del sangue e di superiorità della propria razza su ogni altra.

Anche Jarosław Mikołajewski, notissimo scrittore e intellettuale polacco, riprende questo paragone. In un articolo scritto per Gazeta Wyborcza, rimprovera il Papa per la genericità della sua posizione, riassunta nella frase: “Siamo tutti colpevoli”. Mikołajewski, in particolare, sostiene che Francesco non indichi chiaramente le persone e i loro ruoli all’interno degli scenari specifici, per ultimo quello bellico. “Sì”, scrive il poeta e romanziere polacco, “Francesco ha fatto molto come Papa, ma la sua battaglia per le persone perde forza laddove il nemico dell’uomo siano proprio persone concrete. Dove il male si è fatto carne e ha un nome”. Quindi arriva il riferimento alla saga di J.K. Rowling: “Il Papa condanna il Male, senza condannare il Male. È come se avesse letto Harry Potter e si fosse convinto che Putin è Voldemort, ovvero Colui Che Non Deve Essere Nominato. Una specie di: Tu-sai-chi”.

Una delle caratteristiche che l’autrice immagina per Voldemort, in effetti, è quella di essere così terribile e violento che nessuno lo vuole nominare direttamente per scongiurarne il ritorno. Come ormai noto, Rowling si è ispirata a Hitler e al nazismo per caratterizzare ideologicamente Voldemort; allo stesso tempo, in questo personaggio si riscontrano anche alcuni tratti di Stalin (ad esempio l’assunzione di un nome fittizio per incutere timore e paura). Con il procedere della saga, tuttavia, si scopre anche che Harry Potter e Voldemort sono (lontani) parenti, come a restituire il senso di una commistione continua e non scontata tra bene-male.

Intorno a Harry Potter non si sono sviluppati solo paragoni desunti dai protagonisti della saga, ma anche un tira e molla legato alla sua creatrice. Come noto, J.K. Rowling è stata accusata in più circostanze di transfobia ed all’interno di questa polemica ha provato a inserirsi proprio Vladimir Putin. In una video conferenza in cui accusava l’Occidente di russofobia e di eliminare dai cartelloni artistici le programmazioni con Čajkovskij, Šostakovič, Rachmaninov, il presidente russo ha citato l’ideatrice di Harry Potter come oggetto di discriminazione e ostracismo da parte dell’Occidente per non volersi piegare al diktat delle uguaglianze tra i sessi.

Qualche giorno dopo Rowling ha tuttavia deciso di ritirare dal mercato russo la vendita dei propri libri (o almeno di quelli in versione elettronica, su cui esercita potere decisionale diretto) per esprimere la sua distanza dal regime di Mosca. Del resto, l’autrice è impegnata da anni in un’organizzazione per la tutela degli orfani ucraini.

Differenze … di stile

Un altro aspetto che divide profondamente Putin da Zelensky è quello personale e del dress code. Le foto che ritraggono il presidente ucraino prima e durante la guerra sono abbastanza impietose: il suo volto disteso si è ora trasformato in un unico solco di rughe; mentre Putin, dal canto suo, complice le rifiniture col botox, è rimasto sostanzialmente identico a se stesso. Tra l’altro, le sanzioni messe in atto contro la Russia sembrerebbero aver colpito anche le aziende farmaceutiche che riforniscono il presidente russo di botulino.

Le condizioni (esteriori) attuali dei rispettivi presidenti sono ulteriormente accentuate dal modo in cui i due amano presentarsi dal punto di vista dell’abbigliamento. Zelensky, sin dall’inizio della guerra, praticamente non ha mai rinunciato alla maglietta o al maglione militare, il che, insieme alla barba spesso incolta e ai pugni stretti durante le conferenze, contribuisce a veicolare un’idea di irriducibilità, ma anche di stress. Il presidente ucraino è stato immortalato così anche da Citizen Brick, che disegna e produce i modelli Lego: ha la maglietta e il maglione verde militare, nonché la barba da tagliare.

Al coinvolgimento di Zelensky, alla volontà di mostrarsi dentro le cose, Putin ha sempre contrapposto una smorfia distaccata, condensata nell’immagine del tavolo di svariati metri per tenere lontani gli interlocutori. Il presidente russo è costantemente vestito con giacca e cravatta; quando si è presentato allo stadio Luzhniki per raccogliere ulteriormente i russi intorno alle necessità della guerra, indossava un giaccone da oltre 12.000 euro di valore (per giunta di marca italiana).

I dress code dei due presidenti si riflettono anche sulle delegazioni che si sono incontrate finora nel tentativo di abbozzare una tregua: da una parte gli ucraini in abiti militari, e qualcuno con il cappellino, dall’altra i russi con giacca e cravatta. Questi elementi hanno fatto presa tale, che i vari politici in visita a Kiev, come primo segno della loro vicinanza all’Ucraina, hanno scelto di vestire in un modo che ricordasse da vicino quello di Zelensky. Basti ricordare l’incontro con la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, che sotto una giacca beige indossava una maglietta militare. Più di recente, anche i presidenti di Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia hanno optato per un abbigliamento trendy nella cornice di una visita a Zelensky. Il Presidente estone Alar Karis, tra gli altri, sfoggiava un’improbabile felpa con la scritta E-ESTONIAH sul petto.

Così non se ne esce

Come visto, dunque, la coppia Putin-Zelensky è praticamente contrapposta sotto ogni punto di vista, e di paragoni intorno a questa sfida se ne sono già tentati numerosi. In tale contesto si rivela costante anche l’affiancamento di Putin alla figura di Attila. A questo proposito, guardando a personaggi della finzione cinematografica, mi sovviene la scena di un film ironico, Una notte al museo (2006), in cui il custode Ben Stiller deve vedersela proprio con Attila e i suoi Unni, decisi a perpetrare sempre nuovi massacri. Ad un certo punto lo scontro tra i due pare inevitabile, ma il custode del museo (che potremmo ricondurre a Zelensky) attraverso un briciolo di introspezione psicologica riesce a mitigare la violenza di Attila. “Tu vuoi sempre massacrare gli altri perché qualcuno ha ferito te, qui, proprio qui dentro, nel tuo cuore. Già tuo padre andava in giro a massacrare gente e chi restava da solo, a casa? Tu, piccolo Attila”. Il capo degli Unni scoppia in lacrime, i due si abbracciano e pare che tutto possa risolversi per il meglio; poi, però, in segno di rispetto Attila spinge Ben Stiller (che nel film interpreta la parte di Larry Daley), il quale lo spinge a propria volta un po’ troppo bruscamente e i due finiscono per azzuffarsi di nuovo.

immagine tra Street Art Poland, no credit

Chi è Alessandro Ajres

Alessandro Ajres (1974) si è laureato all’Università di Torino con una tesi su Gustaw Herling-Grudziński, specializzandosi nello studio della lingua e letteratura polacca. Nel 2004 ha conseguito il dottorato di ricerca in Slavistica con un lavoro sull’Avanguardia di Cracovia, da cui scaturirà poi il volume Avanguardie in movimento. Polonia 1917-1923 (Libria 2013). Attualmente è professore a contratto di Lingua Polacca all’Università di Torino.

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