Il 13 aprile è stata pubblicata su Current Affairs un’intervista dal titolo “Noam Chomsky su come prevenire la terza guerra mondiale“. Una risposta in particolare del 94enne linguista statunitense ha avuto una certa eco, in cui Chomsky espone la sua visione sull’invasione russa dell’Ucraina e sulla sua potenziale risoluzione. Una visione non dissimile da quella di vari commentatori anche nel nostro paese, che ha sollevato commenti tra gli studiosi di relazioni internazionali.
Accettare che è così che funziona il mondo?
Sin dal tempo della battaglia di Melo, come riportato da Tucidide, “i più forti esigono e i più deboli accettano””. Ma una simile visione è ancora valida nel ventunesimo secolo?
Secondo Vincent Artman, geografo alla Wayne State University, che lo qualifica come “vergognoso“, in tale intervista “il vecchio saggio Noam Chomsky spiega pazientemente agli ucraini – a pochi dei quali sospetto abbia effettivamente parlato – che non hanno altra scelta che arrendersi e concedere alla Russia tutto ciò che richiede, ‘perché è così che funziona il mondo'”.
Paul Kirby, ricercatore su pace e sicurezza alla London School of Economics, si chiede se “c’è forse qualcosa di più antitetico al pensiero internazionale di sinistra dell’idea che la realtà politica sia fissata in modo indelebile in anticipo dalle capacità materiali delle grandi potenze, misurate in termini puramente militari”.
Seva Gunitsky, professore di politica all’Università di Toronto, trova interessante che Chomsky paragoni le azioni della Russia a un uragano, “come se fosse una forza maggiore e non una serie di scelte politiche. Ancora una volta tutti (tranne gli USA ovviamente) stanno recitando meccanicamente le leggi della storia”.
Un problema di prospettiva
Per Sean Ehrlich, professore di scienza politica alla Florida State University, “Se non mi avessero detto che era Chomsky, avrei pensato fosse Mersheimer” – ossia il principale rappresentante del realismo offensivo, recentemente accusato di westsplaining sull’invasione russa dell’Ucraina.
Secondo Ehrlich, sia Chomsky sia Mearsheimer “focalizzano l’attenzione sugli Stati Uniti, in un conflitto in cui questi sono al massimo un attore secondario, senza concedere alcuna agency agli ucraini, trattati solo come oggetto dell’interazione tra Russia e Stati Uniti.”
Tale prospettiva per Ehrlich “non è solo un problema morale, ma analitico“: se anche l’obiettivo fosse di influenzare la politica interna americana, “è l’Ucraina che decide se continuare a combattere e cosa sono disposti a negoziare.”
L’antimperialismo a senso unico
Ma quali sono i fondamenti di una tale prospettiva, che pone al centro gli Stati Uniti e vede le azioni della Russia come una forza maggiore a cui gli altri paesi possano solo piegarsi?
L’analisi forse più incisiva della questione dell’antimperialismo a senso unico viene da Idrees Ahmad, giornalista ed autore per la Los Angeles Review of Books. Secondo Ahmad, “il problema principale di questa visione del mondo è che Chomsky, come il suo compagno Tariq Ali, crede che la Russia non possa essere imperialista. Pensano che l’imperialismo sia ciò che fanno gli Stati Uniti: ergo, l’antimperialismo è antiamericanismo” – una posizione ben presente anche in Italia, come ha sottolineato di recente Nicola Pedrazzi su Confronti.
Secondo Ahmad, “il concetto di imperialismo è stato avulso da un insieme di pratiche e riconcettualizzato come condizione innata di uno stato particolare. Mentre l’imperialismo statunitense è visto come intrinsecamente malvagio e da condannare, le politiche imperiali di ogni altra potenza sono “trattate come un problema politico che richiede soluzioni basate sul realismo, non distorte da fattori morali.” Una visione che Ahmad definisce binaria e disumanizzante.
Uscire dalla miopia morale: non c’è pace senza giustizia
Per Ahmad, una tale prospettiva porta persone come Chomsky “ad una sorta di miopia morale: condannano giustamente con categorie morali le violazioni dei diritti umani commesse dagli Stati Uniti o dai loro alleati come Israele e Arabia Saudita; ma usano sempre categorie politiche per razionalizzare i crimini delle altre potenze.”
Da giovane un grande ammiratore di Chomsky, di cui apprezzava la freschezza nel rinfacciare all’occidente le proprie ipocrisie, Ahmad afferma di aver iniziato a cambiare idea a seguito delle posizioni prese da Chomsky durante la guerra in Siria. “Come si diceva nello storico slogan di sinistra, non c’è pace senza giustizia. Ma quando si parla di regimi anti-occidentali, certi antimperialisti insistono sul fatto che la richiesta di giustizia è un ostacolo alla pace.”
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