Nuove polemiche si registrano in Bosnia Erzegovina a seguito di una proposta avanzata dal partito conservatore dei croati di Bosnia in tema di identità etnica. Il disegno di legge, che apparentemente concerne una materia amministrativa, va difatti a toccare un tema sensibile per la Bosnia, dando voce alle mai sopite rivendicazioni nazionaliste della componente croata del paese.
La proposta
Secondo il disegno di legge presentato alla Camera dei Rappresentanti dal capogruppo del partito HDZ BiH lo scorso 5 aprile, ogni cittadino della Bosnia Erzegovina sarebbe tenuto a dichiarare all’anagrafe la propria appartenenza ad uno dei popoli costituenti (serbo, croato o bosgnacco), ad una minoranza nazionale o alla categoria “altri”. L’affiliazione etnica andrebbe così esplicitata nella carta d’identità, con l’obiettivo – secondo i suoi sostenitori – di garantire una maggior rappresentanza, ovvero di salvaguardare le elezioni secondo linee etniche. Qualora un cittadino non voglia rispettare questa procedura, nei documenti verrebbe riportata la sua mancata volontà di dichiararsi.
Le criticità
Secondo la proposta di legge, viene identificata la necessità dell’utilizzo di tale procedura “per supportare i processi di assunzione, di concorso e di elezione”. Se da un lato risulterebbe maggiormente chiara la composizione etnica della società, quello che in realtà si garantirebbe è un’acuta cristallizzazione di una già forte divisione sociale. Il perpetuare di un’ottica identitaria così rigida non favorirebbe di certo il processo di riconciliazione tra le parti. Infatti, ancora oggi la popolazione risente di profondi traumi di guerra e la mancanza di fiducia tra le parti è storia di ogni giorno.
Il riconoscimento istituzionale delle componenti etniche del Paese potrebbe essere un modo per garantire il rispetto degli interessi di tutti ma, nonostante ciò, i difficili passi compiuti finora per l’elaborazione della violenza passata verrebbero completamente vanificati. Vi sarebbero due ulteriori questioni tecniche da risolvere: la prima sarebbe la rappresentanza delle minoranze nazionali non considerate come “popoli costituenti”; la seconda riguarderebbe il dialogo tra la nuova legge e quelle già preesistenti sulla protezione dei dati personali.
L’ambizione reale
Non è poi così strano che l’HDZ si sia fatta avanti con tale proposta. In vista delle elezioni previste per ottobre di quest’anno, la garanzia di avere un elettorato fisso sarebbe più che vantaggioso per il partito croato, sempre più in difficoltà. A differenza della Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba, l’altra entità, la Federazione di Bosnia Erzegovina, è maggiormente assoggettata a disomogeneità etnico-culturali e ciò si manifesta molto spesso in blocchi istituzionali (come ad esempio nel caso di Mostar).
Quello che però non è mai rimasto nascosto è l’obiettivo politico di una terza entità croata. Spesso parte delle retoriche politiche del leader HDZ Dragan Čović, l’autonomia dell’Erzegovina rimane un tassello fondamentale nelle ambizioni da entrambe le parti del confine. Non più tardi di qualche giorno fa, il presidente croato Zoran Milanović si è recato in visita a Mostar in occasione del trentennale del Consiglio di difesa croato (HVO), la forza armata della Repubblica Croata di Herceg-Bosna durante la guerra degli anni ’90. Durante il suo discorso pubblico ha sottolineato che “i croati non vogliono essere una minoranza” e che “la Croazia è un Paese amico”.
Entrambi sono concetti già sollevati di recente in una lettera scritta di Čović alle istituzioni europee in cui ha minacciato che i tentativi di ridurre lo status dei croati a “minoranza nazionale” prevederebbe “una riorganizzazione territoriale del Paese”.
Le reazioni
Numerose sono state le repliche dal mondo della politica interna. I socialdemocratici dell’SDP hanno rilasciato una dichiarazione sostenendo che l’iniziativa proposta da HDZ è qualificabile ad una pratica solita dei regimi nazisti, richiamando il contesto di segregazione contro la popolazione ebraica tedesca nel 1935. Inoltre, il partito ha accusato tale azione come l’avvio di una procedura volta all’istituzionalizzazione della discriminazione in ogni segmento della società. Predrag Kojović di Naša stranka (partito multietnico di ispirazione social-liberale) ha paragonato l’inserimento dell’etnia nei documenti di identità al traumatico ricordo del nastro bianco intorno al braccio durante la guerra. In aggiunta, ha voluto mettere in guardia la popolazione asserendo che questa iniziativa è volta ad alimentare le esistenti tensioni per distogliere l’attenzione da questioni di vitale importanza per i cittadini bosniaci.
Dalla comunità internazionale, un primo commento è giunto dall’europarlamentare Tineke Strik che l’ha definita come una mossa incompatibile con i fondamenti dell’Unione europea. Quel che è certo è che in soli pochi giorni l’intera Bosnia Erzegovina ha suscitato notevoli apprensioni. Oltre al tentativo di istituzionalizzare la segregazione etnica avanzato da HDZ, il Regno Unito ha emesso sanzioni nei confronti di Milorad Dodik (leader di SNSD, partito nazionalista serbo-bosniaco) e Željka Cvijanović (Presidente della Republika Srpska) per “i tentativi di minare la funzionalità dello Stato” mentre l’Alto Rappresentante per la Pace in Bosnia e Erzegovina ha invalidato la legge sui beni immobili portata avanti dall’entità serba.
Negli ultimi tempi i Balcani Occidentali sono diventati oggetto di discussioni in ambito europeo, in particolare alla luce dei recenti mutamenti che hanno interessato sia il contesto nazionale che internazionale. Lo sviluppo di instabilità nella regione rischia di avere profonde ripercussioni sull’equilibrio dell’Unione sia in ambito politico che securitario. Le divisioni sociali già radicate nel sistema stanno lentamente polarizzando sia gli interessi che i sensi di insicurezza di una intera popolazione.