Esce nelle sale Storia di mia moglie, con Lea Seydoux, Louis Garrel e Gijs Naber, diretto da Ildikó Enyedi.
Il titolo del film volutamente è fuorviante: non ci troviamo di fronte ad un resoconto narrato dal protagonista riguardo alla vita di sua moglie, e sarebbe semplicistico ridurre la tematica del film al “male gaze”, lo sguardo maschile che idealizza e assogetta il femminile al maschile, pur essendo una forma narrativa costante nel film. Difficilmente inoltre può essere descritto come un film romantico: benchè il rapporto tra i due protagonisti sia centrale, è principalmente un rapporto matrimoniale piuttosto che sentimentale, una separazione meno evidente nel mondo contemporaneo ma ben consolidata all’epoca della narrazione.
La periodizzazione è il primo dopoguerra, gli anni venti. Il protagonista, Jakob Störr, è un capitano navale che decide scherzosamente di sposarsi con la prima che entra in un ristorante, nel tentativo di colmare un vuoto esistenziale. Per sua fortuna, questa sarà Lea Seydoux. Seguono le vicende coniugali dei due, alcuni clichés, l’alternanza delle avventure in mare vissute dal protagonista e dei rapporti interpresonali sulla terraferma.
Il film è un continuo gioco di doppi e di opposti. Nell’incipit, durante una narrazione fuori campo, il protagonista descrive l’ambiente navale come un “mondo di uomini”. Il mare è connotato al maschile, concetto che viene ripreso dall’inquadratura di un Capodoglio ripreso dall’alto, in forma fallica. Il Capitano stesso si identifica come portatore di valori di integrità morale e serietà al maschile. La moglie Lizzy diventa quindi portatrice dei valori legati alla terraferma, alla società, ambiente in cui Störr non sa muoversi con altrettanta sicurezza, estraneo, un mondo che precedentemente, durante le traversate navali, significava l’incontro erotico con donne, un mondo femminile. Così anche il personaggio di Louis Garrel, un dandy che appartiene alla società, viene visto da Störr come un debole, privo della integrità e mascolinità che caratterizzano il marinaio.
Al quadro tematico si aggiunge la prospettiva della narrazione, che segue costantemente il punto di vista di Störr e che di conseguenza è frammentaria e connotata di mistero, nel rappresentare la moglie ed il suo mondo, entrambi i quali eludono qualsiasi possibilità di interpretazione da parte del protagonista, il quale anzi continuamente misinterpreta eventi o gesti della moglie. Bisogna sottolineare che non vi è un intento diretto di critica sociale nei confronti del maschilismo e dell’occasionale misoginia di Störr. Il personaggio è molto più complesso, è il risultato della propria esistenza e del proprio mondo, privo di comunicazione con il femminile, dal che risulta la sua sfiducia ed estraneità sulla terraferma. Apparentemente, una conseguenza parzialmente infelice della prospettiva al maschile è la minore dedicazione allo sviluppo del personaggio femminile, ma in realtà la frammentarietà della rappresentazione di Lizzy non sottrae alla complessità del personaggio, ne diventa solo più difficile la ricostruzione.
Storia di mia moglie è stato ingiustamente denigrato da gran parte della critica, che non ne è riuscita a cogliere o apprezzare la complessità sottotestuale. Il film quasi appare come un vero e proprio romanzo sullo schermo è squisitamente aderente allo stile e alle tematiche della letteratura dell’epoca delle vicende. Si tratta di un adattamento del romanzo omonimo del 1942 di Milán Füst, rimaneggiato da Enyedi nella trasposizione con omissioni e variazioni, sempre nel rispetto dell’originale letterario, ma a prescindere dalla sua natura di opera derivata mantiene un’indipendenza formale lodevole.
È possibile infine contrapporre Storia di mia Moglie a Tramonto (Napszállta) di László Nemes, altro film in costume (ambientato poco prima, nella tarda Belle Époque) dai tratti simili: in entrambi vige l’onnipresenza del mistero, condividono la passione per il gioco degli opposti. L’estetica visiva, la scelta delle tonalità è molto simile, anche se la fotografia di Mátyás Erdély nel film di Nemes si basa principalmente su piani sequenza ed inquadrature strette (come in Il Figlio di Saul), mentre la fotografia del film di Enyedi, curata da Marcell Rév (già direttore della fotografia di White God – Sinfonia per Hagen di Kornél Mundruczó, recentemente diventato molto noto per il suo contributo alla serie HBO Euphoria), utilizza uno spettro più ampio di inquadrature in modo molto sapiente. Ne consegue che Storia di mia moglie è uno dei film del 2021 più distinguibili visivamente.
La durata del film potrebbe comportare un deterrente: a due ore e cinquanta minuti, ci si aspetta un’opera lenta e difficile da seguire. In realtà, si tratta di un film facilmente godibile, grazie all’atmosfera intrisa di mistero, ad alcune vicende movimentate, alla presenza di vari colpi di scena. Come accessibilità, un altro film del 2021 al quale potrebbe essere paragonato a Drive my Car, che forse è anche più lento.
Si segnala la presenza di un cast di supporto internazionale che comprende anche due attori italiani: Sergio Rubini, che fa da anti-mentore al protagonista, e Jasmine Trinca, in un ruolo ristretto ma importante.
Storia di mia moglie è stato presentato a Cannes nel 2021, dove Enyedi aveva debuttato (e vinto il Camera d’Or come miglior film di debutto) con Il mio XX Secolo (Az én XX. Századom), ed è il secondo film dopo il suo ritorno alla regia di un lungometraggio con Corpo ed Anima (Testről és lélekről) del 2017 a seguito di una pausa di ben 18 anni. A causa del contraccolpo della critica, Storia di mia moglie ha avuto una distribuzione molto ristretta a livello internazionale. In Italia ha debuttato in anteprima al Trieste Film Festival come film di chiusura, ed è uscito nelle sale il 14 Aprile 2022, distribuito da Altre Storie.