Bucha è una cittadina alle porte di Kyiv, nelle cui campagne Michail Bulgakov passava le estati con la sua famiglia. D’ora in poi verrà tristemente ricordata per gli efferati crimini perpetrati dai soldati russi che rubano, saccheggiano, violentano, assassinano i civili e poi usano i loro cellulari per telefonare a casa e vantarsi. Vediamo corpi nudi accatastati, civili giustiziati con le mani legate dietro la schiena, passanti uccisi a caso, bambini lasciati morire negli scantinati, cadaveri sotto i quali sono state poste mine per colpire chi avrebbe dato loro una sepoltura. Bucha non è un caso isolato, presto purtroppo vedremo le stesse scene (se non peggio) a Mariupol, Kharkiv, Irpin, Dumerka, Motyzin.
Confondere aggrediti e aggressori
Dinanzi a queste terribili immagini -e pensare che Carlo Freccero dice che la guerra in Ucraina è una fiction!- è imbarazzante la richiesta dell’Anpi di una commissione d’inchiesta dell’Onu “formata da rappresentanti di Paesi neutrali, per appurare cosa davvero è avvenuto, perché è avvenuto, chi sono i responsabili”. Come ha commentato giustamente Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, “è ormai una consuetudine quella dell’Anpi di confondere aggressori e aggrediti“. Infatti il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov (quello che affermava che non c’era una guerra) ha dichiarato che le immagini dei civili uccisi nella città ucraina di Bucha sono una “provocazione orchestrata da USA e NATO”.
Come a Katyn
Si tratta della solita “strategia della menzogna” come accadde per il massacro di Katyn. Il 13 aprile 1943 i mass media tedeschi informarono il mondo che in un bosco nella località di Katyn, vicino a Smolensk, erano stati rinvenuti i corpi di alcune migliaia di ufficiali polacchi prigionieri, uccisi con un colpo alla nuca dall’NKVD, nella primavera del 1940. I sovietici negarono decisamente sostenendo, contro tutte le evidenze, che li avevano ammazzati i tedeschi e che era una montatura per dividere il fronte alleato. Soltanto nel maggio 1988 i sovietici ammisero le proprie colpe e, nel 1992, consegnarono ai polacchi i documenti relativi.
La spiegazione più semplice
Molti si spiegano i massacri dicendo che “questa è la guerra”. Il problema è che questa è una guerra di sterminio di un popolo, come era già avvenuto tra il 1931 e 1934 quando Stalin uccise, deportò, affamò milioni di ucraini. Konstanty Gebert, il giornalista polacco che negli anni ’90 ha accompagnato Tadeusz Mazowiecki, inviato speciale delle Nazioni Unite nei Balcani, cerca di spiegare quello che è accaduto: “Se non capiamo qualcosa, dovremmo accettare la spiegazione più semplice. Quello che i russi hanno fatto a Bucha lo hanno fatto perché lo volevano. E volevano che lo vedessimo. Si possono anche immaginare i “benefici” che ne può trarre la Russia: nel tentativo di conquistare la prossima città ucraina, l’effetto Bucha potrebbe causare una fuga in preda al panico di civili interrompendo gli sforzi della difesa. I russi volevano che rimanesse così. Quindi dopo ottocento anni siamo tornati ai tempi di Tamerlano, che costruì piramidi di teschi per terrorizzare i suoi nemici?”
Quanto accade oggi, la violenza contro la popolazione civile ucraina, è in parte la reazione rabbiosa di Putin, e dei suoi militari, che credevano che l’Ucraina non fosse un vero paese, e che il popolo ucraino un vero popolo. Ritenevano che il governo ucraino fosse una preda facile. Putin ha creduto a quello che gli è stato detto o ha voluto credere al suo stesso apparato, che era stato predisposto non per un’invasione militare, ma per un colpo di stato lampo, per prendere Kyiv in pochi giorni e installare un governo fantoccio o costringere l’attuale governo e presidente a firmare qualche documento umiliante.
Il 21 febbraio, Vladimir Putin aveva dichiarato che questa era una guerra preventiva contro l’Occidente, che doveva ritirarsi, sparire dalla “sfera d’influenza” russa – che poi era quella dell’Unione Sovietica. L’invasione dell’Ucraina doveva essere la prima tappa del “ripristino dell’equilibrio del potere” tra grandi potenze. La reazione del popolo ucraino e dell’Occidente (definito in questi anni dalla propaganda russa: decadente, ormai marginale, addirittura moralmente pervertito!) è stata una sorpresa. Il coraggio del popolo ucraino e del suo presidente Zelensky hanno svegliato l’Occidente che fino ad oggi, per paura del ricatto atomico e amore del quieto vivere geopolitico, aveva assistito impotente alle stragi in Cecenia, all’invasione della Crimea, alle infiltrazioni nel Donbass, agli interventi contro la Georgia in Transnistria.
Il terrore come arma
Oggi dobbiamo constatare che la terribile arma di Putin è purtroppo il terrore. La Russia aveva programmato stermini feroci in Ucraina già da tempo (come mostra un documento ufficiale datato 13 settembre 2021), con trattori che scavano buche e vi gettano cadaveri irrorandoli poi con una sostanza liquida.
Se non si arriverà rapidamente a una soluzione diplomatica (sempre più difficile da immaginare e realizzare) il rischio non saranno improbabili armi nucleari tattiche, ma massacri sempre più frequenti fino all’eventualità dell’uso di armi chimiche. Proprio in Polonia, che teme molto questa eventualità ai suoi confini, il presidente americano Biden ha dichiarato che in quel caso la NATO interverrebbe direttamente in Ucraina. Biden ha chiesto un processo per crimini di guerra contro Putin: “Quello che sta accadendo a Bucha è un crimine di guerra e Putin è un criminale di guerra”.
Le foto spaventose di Bucha sono accompagnate da parole spaventose. Ria Novosti (l’agenzia di stampa ufficiale russa) ha pubblicato un lungo editoriale del produttore cinematografico e commentatore russo Timofei Sergeitsev, che istruisce i politici locali su come prendere il potere. Ecco cosa scrive sull’Ucraina: “I nazisti che hanno preso in mano le armi devono essere eliminati in maggior numero possibile sul campo di battaglia” e aggiunge che, dopo la guerra, sarà tempo di “liquidare” l’élite ucraina, perché “la sua rieducazione è impossibile”, e anche il nome Ucraina è da cancellare dalle mappe. Questo testo è stato pubblicato da un’agenzia governativa ufficiale. Se è così, vuol dire che è almeno un “argomento di discussione” nei circoli politici più importanti della Russia. Sembra formulato più chiaramente del caotico “Mein Kampf”.
Ma non è un genocidio
C’è chi, davanti ai fatti di Bucha, ha evocato la Shoah. Lo aveva già fatto il presidente ucraino, l’ebreo russofono Zelensky, parlando alla Knesset e suscitando molte polemiche. Un paragone sbagliato è stato detto: la Russia sta commettendo crimini di guerra in Ucraina, non un genocidio. Ma è difficile rinfacciarlo al presidente di un Paese sotto assedio, che sta cercando con tutte le sue forze di ottenere il sostegno del mondo. Il presidente del Centro Wiesenthal, Efraim Zuroff, ha detto: “Le immagini di Bucha fanno star male, sono crimini di guerra, ma il paragone con la Shoah è fuori luogo. L’Ucraina non si avvicina a un Olocausto e le auguro che non ci si avvicini mai”.
Ma i genocidi si possono ripetere? Gli stermini di massa, durante un conflitto come quello oggi in Ucraina, possono configurarsi come il tentativo di cancellare un popolo e una cultura? È appena stato pubblicato, da Rizzoli, un libro molto importante su questa questione: “Auschwitz non finisce mai. La memoria della Shoah e i nuovi genocidi“. L’ha scritto Gabriele Nissim, fondatore e presidente di Gariwo-La foresta dei Giusti. Nissim si rifà agli scritti e all’impegno dell’ avvocato ebreo polacco Rafael Lemkin (1900-1959) che, dopo la guerra, fu l’artefice della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, che venne approvata nel 1948 alle Nazioni Unite.
Non esiste una gerarchia dell’orrore
A Lemkin dobbiamo la stessa creazione della parola genocidio che non esisteva nel lessico politico: un ibrido tra la parola greca “genos” (stirpe, usata da Platone nella “Settima lettera”) e il termine latino “cidio” (uccidere). Lemkin voleva che la memoria della Shoah, che aveva annientato tutta la sua famiglia in Polonia, dovesse unire il mondo intero in un nuovo comandamento morale: non commetter più nessun genocidio. Secondo Nissim il discorso sull’unicità della Shoah, “espressione del male assoluto che ha colpito soltanto gli ebrei in tutta la storia dell’umanità”, rischia di alimentare una percezione sbagliata: una gerarchia dell’orrore che sembra sminuire o relativizzare le tragedie toccate a molti altri popoli nel corso della storia (“Non si tratta di uniformare le memorie, perché ogni popolo che ha subito un genocidio giustamente mette sul piatto la sua storia”).
Quello che è avvenuto nella Shoah è stato il limite del male, ma, come ha sostenuto Primo Levi, si potrebbe ripetere in altre circostanze, perché nella natura umana c’è anche questo istinto sadico, sebbene non lo vogliamo vedere. Ciò che accomuna il genocidio degli ebrei, degli armeni, dei ruandesi è l’intenzionalità di annientare un gruppo usando ogni forma di violenza e brutalità per disumanizzare gli individui destinati allo sterminio.
L’orrore nasce da una precisa volontà e da decisioni concrete che conducono gli uomini a sterminare altri esseri umani per interesse, pregiudizio razziale o religioso, o accanimento ideologico. L’esortazione di Nissim è di ascoltare la nostra coscienza e non far morire l’umano nell’uomo e cercare un terreno comune per combattere i genocidi, perché quelli del passato non si ripetano.
—
Foto Flikr