La leadership del partito macedone di sinistra Levica si è schierata apertamente a favore dell’invasione dell’Ucraina in nome di un antifascismo di facciata e ha rievocato la terminologia putiniana dell'”operazione militare speciale” in un incontro ufficiale con l’ambasciatore russo, sollevando critiche e imbarazzi bipartisan.
Qualche giorno fa vi abbiamo parlato di come recentemente il panorama politico nei paesi dell’ex-Jugoslavia abbia visto fiorire movimenti di sinistra che mettono in discussione gli assetti partitici degli ultimi decenni. Accomunati da istanze di giustizia sociale, ambientalismo e antifascismo, nel loro impeto innovatore queste formazioni non sono immuni a cortocircuiti ideologici. Un esempio eclatante è il partito macedone di sinistra Levica, che, in nome di un anti-imperalismo militante e dell’opposizione all’adesione di Skopje alla NATO, si è fatto portavoce della propaganda putiniana sull’invasione dell’Ucraina.
L’incontro con l’ambasciatore russo
Lo scorso 16 marzo la delegazione dei parlamentari di Levica, composta dal leader Dimitar Apasiev e dal numero due Borislav Krmov, ha accolto l’ambasciatore russo a Skopje negli uffici del parlamento. Durante l’incontro ci si è riferiti all’invasione dell’Ucraina in linea con la propaganda di Putin, secondo cui si tratterebbe di un’“operazione militare speciale” volta a “denazificare” le aree abitate da popolazioni etniche russe. Levica ha inoltre espresso parole di condanna contro le sanzioni alla Federazione Russa adottate dalla Macedonia del Nord “sotto pressione di UE e NATO”, e accusato il ministro degli affari esteri Bujar Osmani di russofobia.
L’evento ha suscitato lo sdegno della politica e della società civile. Non si sono fatte attendere le reazioni della SDSM, il partito socialdemocratico al governo, il cui portavoce ha tagliato corto: «Levica sta mostrando sempre più che non fa parte dei processi democratici del paese». Anche il movimento albanese BESA, all’opposizione, ha preso le distanze, mentre la VMRO, vicina alle posizione del premier ungherese Viktor Orbán, ha preferito non prendere apertamente posizione.
Di fronte all’evidente isolamento politico, nelle settimane successive Krmov ha partecipato a trasmissioni televisive correggendo la linea filo-russa a favore di posizioni apparentemente più moderate di neutralità e apertura a soluzioni diplomatiche per non compromettere gli interessi nazionali. Parole che ricordano le giravolte politiche di molti filo-putiniani della prima ora, anche in Italia. L’aggravarsi dell’emergenza umanitaria e le rivelazioni di diffusi crimini di guerra a opera dell’esercito russo hanno infine spinto Levica a tenere un profilo basso sulle questioni internazionali.
I retroscena
Quello che distingue il profilo politico di Levica rispetto ad altre formazioni di sinistra nei Balcani è un certo eclettismo: sulla carta anti-nazionalista e anti-imperialista, ma a conti fatti marcatamente anti-albanese, contrario all’accordo di Prespa che ha sancito la fine della disputa tra Atene e Skopje sul nome Macedonia, e apologetico nei confronti della politica estera di Putin. Tutti tratti che dimostrano una sostanziale vicinanza con il populismo di destra della VMRO.
Non è infatti un caso che, nel tentativo di spodestare l’ex primo ministro Zoran Zaev, lo scorso novembre Levica, che conta due deputati al parlamento di Skopje, si sia accordata informalmente proprio con la VMRO – e con il movimento BESA appena uscito dal governo – per formare una maggioranza alternativa e sfiduciare il governo socialdemocratico.
La strategia andò poi in fumo grazie alla defezione di un parlamentare di BESA che non presentandosi al voto fece mancare il quorum, e di lì a poco si sarebbe formato un nuovo governo socialdemocratico guidato da Dimitar Kovačevski. Resta agli atti la grande spregiudicatezza di Levica che per calcoli elettorali non ha esitato a spalleggiare la destra nazionalista.
L’euro-atlantismo di Skopje
Dopo l’invasione dell’Ucraina, il parlamento della Macedonia del Nord ha condannato l’attacco russo, una mossa che ha raccolto un ampio sostegno in tutto lo spettro politico. Il paese ha anche sostenuto le sanzioni dell’UE contro Mosca e il ministro della Difesa si è impegnato per offrire aiuti militari all’Ucraina nel quadro dell’alleanza NATO, di cui il paese è membro dal 2020. Come risultato, la Russia ha inserito la Macedonia del Nord nella sua lista di paesi ostili.
In una fase così delicata per la piccola repubblica balcanica, proiettata verso l’adesione all’Unione europea che tuttavia sembra ancora molto distante, Levica si distingue come l’unica entità politica a mettere apertamente in discussione l’euro-atlantismo. In un’intervista al blog italiano Sinistra in Europa dello scorso novembre, Apasiev aveva auspicato l’interruzione delle negoziazioni (definite umilianti) con la Bulgaria, l’annullamento dell’Accordo di Prespa e una più grande collaborazione con i paesi al di fuori della NATO.
L’invasione dell’Ucraina ha spinto molti partiti europei della galassia di sinistra a mettere in discussione i propri capisaldi di politica estera e in certi casi a prendere nettamente le distanze dall’invasione russa. Al contrario, in Macedonia del Nord la guerra ha evidenziato le contraddizioni ideologiche di un partito che si professa anti-imperialista ma che fallisce nel riconoscere e denunciare l’espansionismo e i crimini russi. Eventi spartiacque come questi rischiano di minare la credibilità di un partito che si propone come innovatore e che tuttavia sembra fare il verso alla destra più reazionaria.
Foto: Levica