Il 27 aprile 1992, esattamente trent’anni fa, nasceva la Repubblica federale jugoslava. Era, almeno nominalmente, la terza Jugoslavia, dopo quella monarchica dei Karageorgevic e quella socialista di Tito. Come le due precedenti, anche questa terza Jugoslavia era frutto della guerra: non di guerre mondiali come le due precedenti, ma di una dissoluzione violenta iniziata nel giugno dell’anno prima in Slovenia e che sarebbe proseguita – “scendendo a sud” del paese – per tutti gli anni novanta.
“La proclamazione, disertata dai rappresentanti diplomatici dei maggiori Paesi occidentali, è avvenuta nel pomeriggio, nel palazzo del Parlamento federale, un edificio che ha conosciuto tempi migliori, che ha visto le virate politiche e ideologiche di Tito, le riforme, l’approvazione dell’autogestione, delle autonomie delle Repubbliche e delle regioni. Alle 14 in punto nella grande aula della Camera federale si sono riuniti circa 60 deputati ancora rimasti in carica. Effettivamente il loro mandato è scaduto due anni fa e da qui deriva il primo dubbio sulla legalità della costituzione della nuova federazione approvata da questo organismo che difficilmente può definirsi Parlamento federale, in quanto è composto soltanto dai rappresentanti di due delle sei Repubbliche della ex Jugoslavia: Serbia e Montenegro”: così Eros Bicic ne raccontava allora la cronaca della genesi sul Corriere della Sera. Una genesi molto sottotono: accolta con indifferenza dai belgradesi, boicottata dai paesi europei (con l’eccezione della Grecia) e dagli Stati Uniti, alla breve cerimonia erano presenti solo gli ambasciatori dei paesi non allineati, nonché quelli di Russia e Cina. L’inno che venne suonato per l’occasione era esattamente lo stesso di prima.
D’altronde “l’invenzione” della Repubblica federale jugoslava fu un’idea ad effetto tirata fuori dal dotato cilindro di Milošević per tentare di rilanciare sé stesso e la Serbia. Agli inizi di quel 1992, infatti, la situazione era critica per lui – contestato dall’opposizione – e per il suo paese, impoverito ed isolato. Da qui l’ingegnoso state building in cui la nuova Repubblica federativa di Jugoslavia si proponeva come l’erede naturale della Federazione socialista e voleva rappresentarne la continuità sul piano internazionale, per cui il nuovo Stato riconosceva tutti gli impegni internazionali della ex Federazione. Per quanto riguarda le Repubbliche ex jugoslave ormai indipendenti, la nuova Federazione era disposta a riconoscerle dopo che alla Conferenza internazionale sulla Jugoslavia si sarebbero superate le vertenze relative all’eredità. Belgrado addirittura affermava di essere favorevole al proseguimento della collaborazione nei territori della ex Jugoslavia ed auspicava la riapertura delle comunicazioni e dei rapporti economici. La Repubblica federativa jugoslava, inoltre, si prendeva l’impegno di occuparsi delle strutture sociali, economiche e giuridiche nei territori protetti dalle forze delle Nazioni Unite; in altre parole nei territori croati occupati le scuole, la polizia e i tribunali, la moneta avrebbero dovuto continuare ad essere jugoslavi, anche se – si affermava – il nuovo Stato non aveva alcuna pretesa territoriale. Propositi contraddittori e velleitari, dato che proprio in quei giorni si stava aprendo il conflitto in Bosnia, mentre per la comunità internazionale (Onu compresa) la Jugoslavia, giuridicamente, aveva cessato di esistere nel 1992.
Tuttavia, con altre due mosse ad effetto, Milošević fece eleggere presidente federale in giugno il famoso romanziere nazionalista settantunenne Dobrica Ćosić nonché, il mese dopo, chiamò il miliardario Milan Panić, ex campione di ciclismo serbo, emigrato negli anni cinquanta in California, dove era divenuto un imprenditore farmaceutico di successo. Panić, trovatosi primo ministro federale a fianco del Capo dello Stato Ćosić, esordì dicendo una frase famosa: “Sto per salire su una nave pirata. Ma quando sarò capitano, diventerà una nave di pace”.
L’idealismo wilsoniano di quest’ultimo, unito ad un Ćosić in fase di profondo ripensamento autocritico, in effetti, lo spinse coraggiosamente a varare la “nave di pace” promessa, ma senza successo. Già alla fine del 1992 la meteora Panić concludeva la sua corsa ed il primo ministro serbo-americano veniva sfiduciato senza tanti complimenti da un Parlamento federale in mano agli uomini di Milošević. Stessa sorte per il sodale Ćosić, pure lui destituito nel giugno del 1993 dopo appena un anno di presidenza; su Le Monde darà dell’imbroglione e del tiranno a Milošević e aderirà a Otpor! nel 2000.
La neo Repubblica si appiattirà in toto sulla leadership di Milošević – che ne sarà presidente dal 1997 al 2000 – e lo seguirà nelle drammatiche vicende bosniache, nella guerra in Kosovo e nei bombardamenti della Nato; si estinguerà pochi anni dopo la caduta del suo capo, nel febbraio del 2003, quando verrà sostituita dall’effimera Unione di Serbia e Montenegro. Con essa, il toponimo Jugoslavia scomparirà dalla geografia politica ed entrerà tra le affollate pagine della storia delle idee. Verrà poi rimpianta, dimenticata o disprezzata, a seconda dei punti di vista.
Foto: Espresso
Per approfondire: 1985. Trent’anni fa cominciava la disgregazione della Jugoslavia, Come scrivere di Balcani. Guida pratica al balcanismo quotidiano, Serbia: ricordando le bombe su Belgrado, Il vocabolario della divisione. Il conflitto delle lingue nell’ex Jugoslavia, I Balcani vassalli d’Europa. Dalla caduta del Muro ad oggi.