russi perdendo guerra

I russi stanno davvero perdendo la guerra?

Fin dai primi giorni di guerra, l’aggressione russa ha dovuto fare i conti con una tenace e inattesa resistenza da parte degli ucraini. Le perdite russe sono state notevoli, centinaia di mezzi corazzati, decine di elicotteri, aerei e droni abbattuti, e almeno 17mila soldati uccisi secondo le fonti ucraine e occidentali. Mosca fornisce cifre dieci volte inferiori. Ma un dato è incontestabile, il Cremlino ha trovato più difficoltà del previsto.

In questi giorni, l’esercito russo ha lasciato alcune aree intorno a Kiev e Cernihiv, per riorganizzare l’offensiva e avvicendare le truppe. Le forze ucraine hanno ripreso il controllo dell’intera area che circonda la capitale fino a Cernobyl’, dove sventola la bandiera gialla e blu. L’arretramento di Mosca è dovuta alla fermezza della resistenza ucraina, che ha costretto i russi a modificare i propri piani, ma non è una ritirata. Nel loro retrocedere, hanno seminato morte, giustiziando i civili e abbandonando per strada i cadaveri, con la rabbia degli sconfitti. Ma è ancora presto per dire che la Russia stia perdendo la guerra.

Le difficoltà di Mosca

Simbolo delle difficoltà incontrate da Mosca è il 331° reggimento aviotrasportato, composto da paracadutisti e considerato uno dei migliori reparti dell’esercito russo, parzialmente distrutto mentre avanzava verso Kiev. Decine di uomini del 331° sono caduti e anche il colonnello Sergei Sukharev, che lo guidava, ha trovato la morte in battaglia, tra Hostomel e Irpin, alle porte della capitale ucraina. Ai suoi funerali, il viceministro alla Difesa ha dichiarato che Sukharev è morto “per un futuro senza nazismo“. Ora le truppe d’élite del 331° verranno sostituite da contraktniki, mercenari professionisti. Lo stesso destino toccherà ad altri reparti, mentre uomini della Wagner sono già arrivati in Donbass.

Ritorno in Donbass

A causa della resistenza opposta dagli ucraini, Mosca sta ricalibrando i propri obiettivi e intende concentrarsi sulla “completa liberazione del Donbass”, come dichiarato dal generale Sergey Rudskoy. Questo non vuol dire che i russi si stiano ponendo obiettivi minori rispetto a quelli iniziali, anzi l’avanzata in Donbass potrebbe mettere in grande difficoltà gli ucraini. Soldati e mezzi sono in arrivo, tra mercenari dalla Siria, circa tremila contractors del Wagner Group, e ceceni kadyrovtsy, non c’è da dormire sonni tranquilli. La Russia ha inoltre richiamato 145mila riservisti e ordinato la coscrizione obbligatoria per circa 100mila uomini. Segno che, malgrado le difficoltà, Mosca non ha nessuna intenzione di mollare l’osso e si prepara a un conflitto lungo.

Intanto da Izyum le forze russe stanno puntando verso Slovjans’k mentre da est risalgono da Luhans’k, così da circondare e chiudere in una sacca le truppe del JFO (Joint Forces Operation), tra le migliori dell’esercito ucraino, fin qui impegnate sulla linea di contatto con le repubbliche separatiste. Se l’operazione dovesse riuscire, sarebbe un colpo durissimo per gli ucraini che, in tempi ormai brevi, sarebbero destinati a perdere anche Mariupol’ e con essa il controllo delle regioni sud-orientali.

I russi stanno perdendo la guerra?

Non dobbiamo illuderci. Presto i russi riprenderanno l’offensiva. Mosca ha guadagnato tempo promuovendo trattative verso cui non nutre alcun interesse. Sventolando il ritiro delle truppe e avanzando come unica richiesta il riconoscimento del Donbass e della Crimea, i russi hanno sollevato una cortina fumogena dietro cui celare il riposizionamento e l’avvio di una seconda fase del conflitto. D’altronde, del riconoscimento ufficiale di quei territori Mosca non se ne fa molto, quando ormai il paese è universalmente riconosciuto come responsabile della carneficina e già si indaga sui crimini di guerra. Indietro non si torna. Vladimir Putin non se lo può permettere. Il suo obiettivo resta il controllo dell’Ucraina.

Una guerra lampo?

Ci siamo convinti che i russi avessero pianificato una guerra lampo. L’hanno detto fonti d’intelligence americane, l’hanno ripetuto i giornali. Ma siamo sicuri? Non si prepara un fronte di duemila chilometri se si intende fare una guerra lampo. I nazisti insegnano, in una guerra lampo si individua lo Schwerpunkt, il punto focale dell’azione offensiva della Blitzkrieg, il centro di gravità ove concentrare il massimo dello sforzo, e si sfonda col supporto aereo. I russi hanno dispiegato le truppe lungo tutto il confine ucraino, persino in territorio bielorusso, orchestrando una manovra ampia che con la guerra lampo non c’entra niente. La guerra lampo è forse solo una nostra narrazione? E’ quindi possibile che i russi non abbiano visto fallire alcun piano, ma che abbiano dovuto rimodulare l’aggressione su nuove direttrici a causa delle difficoltà incontrate. Tuttavia, più che a una guerra lampo, i russi sembrano pronti a una guerra lunga. Una guerra che le sanzioni non riescono a soffocare.

Un esercito allo sbando?

L’esercito russo sarebbe alla fame, incapace di garantire il rifornimento di carburante, con soldati demotivati e impreparati. C’è sicuramente del vero in queste ricostruzioni, ma al netto di qualche defezione, delle difficoltà di vettovagliamento – comuni a molti eserciti in azione – e della scarsa motivazione delle reclute più giovani, l’esercito russo combatte da più di un mese lungo un fronte amplissimo senza troppi ripensamenti, bombardando città, cannoneggiando e – a battaglia finita – depredando e saccheggiando come cani finalmente sciolti dalla catena, ma pronti a obbedire. Le prossime settimane ci diranno la verità sulla tenuta dell’esercito russo ma l’entusiasmo dei primi giorni, quando circolavano video di soldati russi arresi alla paura e desiderosi solo di chiamare la mamma, va decisamente ridimensionato.

L’uomo nel bunker

Circolano infine voci insistenti sul fatto che Putin sarebbe impazzito, chiuso in qualche bunker negli Urali o in Siberia, circondato da fedelissimi pronti a immolarsi per lui, strafatto di steroidi e nutrito di menzogne da generali timorosi della sua furia. Un ritratto che ha molto di cinematografico, che ricorda il capolavoro di Hirschbiegel, e alimenta l’assurdo paragone con Adolf Hitler. Tutto è possibile, ma le apparizioni del 17 e del 18 marzo scorso non ci hanno fatto vedere un leader sfatto, accecato dalla follia e ignaro della realtà. La grande messa in scena del potere allo stadio Luzhniki, cupa e magniloquente, ci ha mostrato un uomo ben consapevole della macchina propagandistica costruita attorno a lui, per lui e da lui. L’uomo nel bunker rischia di essere un miraggio, un inganno, per non vedere la realtà di un conflitto calcolato, disumano e criminale. Non possiamo dare a Putin il beneficio della follia.

L’agnello sacrificale

Sembra presto per dire che gli ucraini stanno vincendo. Stanno resistendo, ed è già un miracolo. Ma fino a quando? Fermare Putin è un imperativo non solo per loro, ma anche per noi. A rischio c’è la stabilità futura dell’Europa. Aiutarli con l’invio di armi non è un atto di solidarietà, ma di egoismo. Gli ucraini sono il nostro antemurale. Il loro paese è l’agnello sacrificale. Su quel suolo si combatte una guerra glocale, non ancora mondiale ma nemmeno locale. Una guerra che i russi non possono vincere, ma nemmeno possono perdere, a nessun costo, e allora saranno altre macerie e altre esecuzioni. I russi sono un nemico durissimo, non una banda di scappati di casa guidati da un folle. E gli ucraini cavalcano la bestia. Fino a quando non sappiamo. Ma – come dice l’inno nazionale – l’Ucraina non è ancora morta.

immagine da Pixabay

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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