I magiari al voto per rinnovare il parlamento: il leader di Fidesz favorito, può ottenere il quarto mandato di fila per guidare l’Ungheria
Pro o contro il primo ministro uscente Viktor Orbán, alla guida del paese dal 2010: domenica 3 aprile gli ungheresi sono chiamati alle urne per rinnovare l’assemblea nazionale. Per sfidare Orbán, idolo dei sovranisti di tutta Europa e leader di Unione civica ungherese – Fidesz, c’è Péter Márki-Zay, candidato unitario di un composito cartello elettorale. Intorno a lui, conservatore moderato, si sono raccolte praticamente tutte le forze di opposizione, accomunate innanzitutto dall’avversione verso il premier.
Orbán ancora favorito dopo tre successi
In caso di vittoria Orbán riceverebbe il quarto mandato consecutivo per guidare il governo magiaro. Si ripresenta agli elettori forte del 70,22% dei consensi ottenuto quattro anni fa, sempre sostenuto dall’alleanza tra Fidesz e il Partito popolare democratico cristiano (Kdnp). Nel 2018 non ci fu partita con la destra di Gábor Vona (Jobbik) arrivato al 19,06%, e il candidato di centrosinistra Gergely Karácsony, che si è fermato al 11,91%.
Un sondaggio dell’istituto Republikon condotto tra il 16 e il 18 marzo attestava Fidesz intorno al 41% delle preferenze, con gli avversari fermi al 39%, ma con gli indecisi comunque stimati sul 16%. Intenzioni di voto che, se confermate, lascerebbero grossomodo invariata la ripartizione dei 199 seggi nel parlamento di Budapest: di questi 106 sono assegnati col maggioritario in collegi uninominali, e 93 con il proporzionale tra i partiti che superano il 5% e le coalizioni che vanno oltre 10%. Le forze che sostengono Márki-Zay oggi contano su 52 seggi.
Tra misure illiberali e provvedimenti popolari
Ex liberale che si è spostato su posizioni nazionaliste, populiste e tradizionaliste, spesso in contrasto con l’Ue, Orbán ha guidato per la prima volta il paese tra il 1998 e il 2002, per poi tornare in sella nel 2010. Figlio della borghesia rurale calvinista, classe 1963 laureato in giurisprudenza, è in politica dai tempi del crollo del muro. Euroscettico per eccellenza, ha traghettato Fidesz fuori dal Partito popolare europeo tra la sospensione 2019 e l’addio ufficiale del 2021.
Il suo governo è stato caratterizzato dal pugno duro verso l’immigrazione e dall’esaltazione di valori nazionali e famiglia tradizionale. Le aperture verso l’universo Lgbtq sono quanto di più lontano ci possa essere dal suo orizzonte ideologico. Che piaccia o meno, in fatto di consenso finora ha avuto ragione puntando su aumenti delle pensioni, sostegni fiscali a famiglie con figli e giovani, prezzi calmierati alcuni beni di consumo, dai carburanti ai prodotti alimentari.
Con Márki-Zay una coalizione composita cerca l’impresa
Per disarcionare Orbán l’opposizione ha puntato su Péter Márki-Zay, cattolico classe 1972, ingegnere ed economista che dal 2018 è sindaco di Hódmezővásárhely, poco meno di 50mila abitanti nel sud del paese. Márki-Zay è un elettore deluso di Fidesz, pronto a una maggiore apertura sui diritti delle minoranze sessuali e neoliberista sulle questioni economiche, che guida un cartello elettorale che va dalla sinistra ecologista alla destra che mal digerisce Orbán.
Nella sua coalizione, presenti in parlamento, ci sono Partito socialista, Coalizione democratica, Jobbik, La politica può essere diversa, Dialogo per l’Ungheria e Momentum; fuori dall’assemblea nazionale Partito liberale, Partito popolare e Nuovo Inizio; le organizzazioni Un’Ungheria per tutti e Movimento 99. Di certo la coalizione è su posizioni più europeiste, propone per una riforma della costituzione in senso più liberale e maglie più larghe per la libertà di stampa, in un paese dove la tv pubblica è diventata il giardino di casa del primo ministro.
Il referendum che gioca per Fidesz
Insieme al rinnovo del parlamento, gli ungheresi domenica devono anche pronunciarsi su un referendum che riguarda una legge in materia di omosessualità e di identità di genere. Gli elettori devono dire ad esempio se i minori possono partecipare a lezioni scolastiche sull’orientamento sessuale senza consenso dei genitori, e se sono favorevoli o meno a una serie di restrizioni sulla diffusione di contenuti che trattano temi sessuali. Una questione che la propaganda di Fidesz semplifica a vantaggio del governo uscente, presentando questo referendum come un’argine alla pedofilia e all’invasione omosessuale.
Il premier l’ha sfangata sulla Russia
A svantaggio di Orbán poteva giocare la guerra in Ucraina, ma alla fine il premier se l’è cavata discretamente, nonostante, da buon sovranista, intrattenesse rapporti quantomeno cordiali con il Cremlino. A inizio febbraio Orbán aveva incontrato Vladimir Putin, ma all’indomani dello scoppio del conflitto non si è tirato dietro di fronte alla ferma condanna dell’invasione. Si è allineato in linea di massima alle posizioni dell’Unione europea condividendo le restrizioni verso Mosca, ma allo stesso tempo ha messo i suoi paletti: niente sanzioni energetiche e aiuti esclusivamente umanitari a Kiev, escludendo non solo l’invio ma anche il transito di armi sul territorio magiaro in Ucraina.
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Immagine: un comizio elettorale di Orbán (dalla pagina Facebook Orbán Viktor)