di Valentina Di Cesare
“Accettate le istituzioni dell’autodeterminata Repubblica del Kosovo?” Questo il quesito a cui hanno risposto i cittadini di quattro comuni delle provincie settentrionali del Kosovo, zone in cui vive una consistente minoranza serba e rom. Il referendum autoconvocato dai serbi, ha coinvolto circa 35000 elettori ottenendo la maggioranza assoluta dei voti contrari e a dispetto del caso si è tenuto proprio nei giorni dell’anniversario dell’auto-proclamazione del Kosovo, avvenuta il 17 febbraio 2008.
L’alta affluenza alle urne come i risultati del resto, erano abbastanza prevedibili; altrettanto prevedibili e provocatorie saranno le reazioni dell’opinione pubblica europea. Del resto già all’inizio del 2012 , l’Ue attraverso il verbo della Merkel è stata molta chiaro con il governo serbo: unica conditio sine qua non, indispensabile alla Serbia ad ottenere lo status di paese aderente all’Unione, sarà quello di riconoscere il Kosovo come uno stato indipendente. Condizione che, neanche il presidente Tadic e la sua maggioranza di governo filo-occidentale riescono a digerire.
E’ chiaro che i risultati e le conseguenze del referendum, oltre ad aver fatto luce sul ricatto dell’Ue alla Serbia, saranno più preoccupanti per Belgrado che per Pristina, che gode dopo la Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’Onu di un diffuso favore nonostante ancora molti paesi non ne riconoscano l’autorità (Russia, Cina, e Spagna in primis) .
Il governo di Belgrado si era mostrato sin dall’inizio fermamente contrario alla consultazione promossa dai serbi del nord, ritenuta dannosa per l’immagine della Serbia e per i suoi interessi. Tadic aveva tentato di distogliere i serbi del nord, affermando che i governi locali non avrebbero dovuto arrogarsi il diritto di “risolvere” la questione Kosovo al pari dello Stato centrale.
Per il governo centrale infatti la consultazione è doppiamente dannosa perchè “inutile” in quanto è la stessa costituzione di Belgrado a non riconoscere le autorità e le istituzioni kosovare. Molte le tensioni per Tadic e per il suo partito, da una parte in attesa del responso di marzo da parte del Consiglio Europeo che deciderà se la Serbia sarà ammessa a paese candidato, e dall’altra nel pieno di una campagna elettorale già praticamente iniziata, per il voto previsto tra la fine di aprile e l’inizio di maggio prossimi.
Nel palesarsi di vecchie e nuove tensioni sul piccolo lembo di terra conteso nel cuore dei Balcani, riemergono rivendicazioni reciproche tra le due parti quella serba da un lato e quella albanese dall’altro; l’Europa dal suo canto, non si lascia attendere nel dettar legge seppure permanga la vaga sensazione che Bruxelles sia ancora molto lontana dall’analisi e dalla comprensione reali della complessa compagine dei vicini Balcani occidentali.
Bell’articolo, Valentina.
Solo una precisazione: l’UE non può domandare alla Serbia di riconoscere internazionalmente il Kosovo come condizione per ottenere lo status di candidato (e in futuro per l’adesione), in quanto anche 5 stati UE non intendono riconoscerlo allo stato attuale. E la stessa Merkel non ha detto ciò, ma ha richiesto la “normalizzazione delle relazioni” (http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2011&mm=12&dd=02&nav_id=77598), sostenendo che Belgrado e Pristina devono dialogare per rimuovere le barricate dei serbi del Kosovo, regolarizzare il commercio, gestire in comune i posti di frontiera ed abolire le strutture parallele dei serbi del Kosovo. L’indurimento delle posizioni di Berlino può essere dovuto al ferimento di due peacekeepers tedeschi nei mòti di novembre 2011.
(http://www.transconflict.com/2011/12/kosovo-serbia-the-eu-and-germany-212/)
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
Caro Davide,
grazie delle precisazioni e degli spunti 😉 approfondirò!