Il Kosovo chiede di aderire alla NATO e all’Unione europea nel timore di un’aggressione della Serbia: tra opportunismo politico e rischio reale
La drammatica escalation ucraina rischia di innescare un pericoloso effetto domino nei Balcani con conseguenze che non è difficile immaginare. Questo, perlomeno, lo scenario paventato dai vertici istituzionali kosovari, in primis l’attuale presidente della Repubblica, Vjosa Osmani, che ha espresso il timore che il presidente serbo, Aleksandar Vučić, possa essere tentato dall’emulare Vladimir Putin per promuovere una campagna militare di “riconquista” del Kosovo.
Indipendente dal 2008 e dichiarato come tale da gran parte della comunità internazionale, il Kosovo non è mai stato riconosciuto ufficialmente dalla Serbia che rivendica quei territori come propri. Una disputa che non trova sbocchi diplomatici, da anni impantanata nelle sabbie mobili dei veti incrociati e delle reciproche pretese; e da anni ostacolo insormontabile nell’estenuante percorso di integrazione della Serbia nell’Unione europea, un sogno rincorso fin dal lontanissimo 2009.
L’equilibrio impossibile della Serbia
Oggi Vučić si trova tra l’incudine e il martello, alla ricerca dell’equilibrio impossibile tra lo storico posizionamento filorusso – importante l’appoggio di Mosca in campo economico, ma anche per le sue rivendicazioni proprio sul Kosovo – e l’auspicato futuro nell’Ue. Un equilibrio in bilico tra la sottoscrizione della condanna ONU all’aggressione russa in Ucraina e il mancato avallo delle sanzioni internazionali.
Una difficoltà ulteriormente amplificata dall’imminenza delle elezioni parlamentari e presidenziali – previste il prossimo 3 aprile – dove Vučić cerca una riconferma che appare scontata ma dove i temi nazionalistici occupano comunque un ruolo di primaria importanza. È probabilmente in chiave “difensiva” che vanno quindi inquadrate le recenti parole del presidente serbo, con le quali cerca di giustificare il proprio voto di condanna all’invasione russa in Ucraina configurandola in un contesto di lesione “dell’integrità territoriale” di quel paese.
La condanna rappresenterebbe dunque, secondo la capriola retorica di Vučić, la condizione necessaria per avere il “diritto morale” di pretendere pari trattamento nelle rivendicazioni serbe sul Kosovo. Ovvio che lo sguardo è rivolto alla pubblica opinione interna e, soprattutto, a quanti lo hanno accusato di debolezza e subalternità: è a loro che si rivolge il leader serbo domandandosi provocatoriamente dove fossero costoro mentre “tutto veniva distrutto in Serbia”, allorquando, a suo dire, “si nascosero sotto il tavolo senza far nulla per difendere i serbi in Kosovo”.
Che la questione sia calda e che il parallelismo con i fatti ucraini faccia parte dell’immaginario collettivo di parte della popolazione serba lo dimostrano gli slogan urlati nel corso delle manifestazioni popolari che si sono svolte nei giorni scorsi a Belgrado in appoggio ai “fratelli russi”: quel gridare “la Crimea è Russia, il Kosovo è Serbia” avvalora l’ipotesi che la comparazione tra le due questioni sia, per molti, tutt’altro che campata per aria. Né potrebbe essere diversamente, dall’altra parte, visto il ricorso continuo di gran parte del mondo politico alla retorica ultranazionalista, una carta sempre efficace per far breccia nella pancia della società serba, che infatti ne è permeata.
Le paure del Kosovo
È da questa consapevolezza che si origina l’appello della Osmani, oltre che da una buona dose di opportunismo politico: un’opportunismo che le fa giocare la carta di una richiesta che, nella contingenza della crisi ucraina, potrebbe trovare quella disponibilità che non trovò anni fa l’ex presidente, Hashim Thaçi, allorquando si fece promotore senza successo della medesima istanza.
Il rischio che “la Serbia voglia ottenere nei Balcani occidentali quello che la Russia di Putin vuole in Ucraina” c’è, anche se esso appare più teorico che reale, visto che la stessa NATO è già presente nel paese con un contingente di oltre tremila militari di ben ventisette paesi diversi. Tuttavia i fatti recenti hanno attestato quanto sia stato grave sottovalutare il contesto non dando credito ai segnali che – oggi possiamo dirlo – arrivavano inequivocabili dal confine russo-ucraino e che mostravano che l’invasione dell’armata russa, ritenuta fino all’ultimo fortemente improbabile dalla gran parte delle cancellerie europee, era nei fatti solo questione di ore.
E’ per questo motivo che l’appello con cui Osmani ha chiesto un canale preferenziale per l’ingresso del suo paese nella Ue e nella NATO è stato ripreso, con forza, dal primo ministro kosovaro, Albin Kurti: il timore che il Kosovo possa diventare il prossimo ostacolo frapposto al tentativo di imporre questo nuovo equilibrio mondiale lungo l’asse russo-serbo, ha indotto Kurti a chiedere di accelerare il processo di inclusione superando la farraginosità delle attuali procedure di adesione, anche per “rafforzare il fronte NATO nei Balcani meridionali”.
Le prospettive
Nessuna risposta da parte della NATO, ad oggi, ma è la ministra degli Esteri, Donika Gërvalla, a mostrare un cauto ottimismo dopo aver incassato il sostegno della Croazia e, quello ancora più significativo visto il suo peso politico e militare, del presidente turco Recep Tayyp Erdogan.
Un elemento fondamentale, quest’ultimo, in considerazione del fatto che l’adesione all’organizzazione atlantica richiede il beneplacito unanime di tutti i membri, un obiettivo irraggiungibile solo poche settimane fa (vista la presenza tra i paesi NATO di stati che non riconoscono il Kosovo come indipendente) ma che oggi appare quanto meno plausibile. Ed è sempre con cauto ottimismo che Gërvalla interpreta il successo della sua recente missione in Grecia, proprio nell’ottica del possibile riconoscimento del suo paese da parte del paese ellenico e, dunque, di un futuribile ingresso del Kosovo nella Ue.
Nella loro drammaticità gli eventi ucraini possono rappresentare una formidabile opportunità per il Kosovo: Osmani e Kurti lo sanno così come sanno che questo è il momento per tentare di portare a casa un doppio traguardo che farebbe la storia del paese – e quindi anche la loro.
(Vjosa Osmani, Presidente del Kosovo, e Jens Stoltenberg, Segreterario generale NATO – Foto aa.com)