Sul confine tra Moldova e Ucraina, con l’Europa di sfondo
Ormai è chiaro a tutti: la pace in un conflitto non cala dall’alto. Va costruita, ricercata. Bisogna lottare perché si realizzi. Stela Vasluian, direttrice di AiBi – Associazione amici dei Bambini Moldova, è una delle persone che si stanno adoperando affinché le persone che scappano dalla guerra trovino accoglienza, un pasto caldo e non solo.
“A lavorare non siamo soli, ci sono tante organizzazioni, tante realtà”, mi dice come prima cosa Stela. “Inizialmente ci siamo occupati della distribuzione di beni di prima necessità al confine, presso Palanca – un piccolo comune a pochi chilometri dall’Ucraina, sulla strada per Odessa – poi ci siamo accorti che già in molti se ne occupavano, e abbiamo puntato sull’animazione”.
AiBi è un organizzazione che si occupa principalmente di minori: pensare ai bambini è stato naturale. “La gente qui [in Moldavia] si ferma solo per alcuni giorni per andare in Romania, ma anche in altri paesi europei. Nonostante sia un luogo di transito, i bambini rimangono ore e ore senza fare nulla: va data loro la possibilità di scatenarsi e comportarsi come un bambino normale farebbe”. AiBi si è occupata, tra le altre cose, di offrire supporto psicologico ai profughi.
Ma le attività di soccorso immediato non si fermano. “Un rappresentante locale ci ha chiesto poco tempo fa di intervenire nell’immediato per soccorrere delle persone smarrite, senza nulla, che vagavano in un prato”
Moldova come crocevia
Stela spiega poi più nello specifico come viene gestito il flusso migratorio, innanzitutto dal punto di vista economico. “Privati e associazioni ci stanno aiutando, mentre ci stiamo coordinando per adoperare i fondi governativi. È un’ondata molto grande per un paese piccolo e con un’economia poco stabile come la Moldova. I beni di prima necessità saranno sempre urgenti”.
“Gli ultimi dati parlano di 7.500 persone alloggiate sul suolo moldavo. Sono distribuiti nelle varie città, e soprattutto a Chișinău. Ad ospitarli sono campi appositamente creati, palestre, alberghi, case di cittadini e cittadine. Sono quasi tutti di passaggio: al confine con la Romania è stato creato una sorta di corridoio umanitario, in modo da facilitare le operazioni. Spesso le persone si organizzano autonomamente per raggiungere parenti e amici in Europa; non ci sono tratte già disegnate per una distribuzione internazionale”.
Per quanto riguarda le persone invece “sono molto diverse. Vengono soprattutto da Odessa, e fuggono in gruppi: famiglie, comunità ebraiche, comunità rom, interi villaggi. Da un giorno all’altro le comunità cambiano.” Le chiedo di più sulla situazione delle persone che lavoravano ad Odessa: “C’è un mercato, molto grande, chiamato Settimo Chilometro – appunto perché situato a sette chilometri di distanza da Odessa. È un mercato enorme, e ci lavoravano un po’ tutti, soprattutto immigrati da altri paesi. Qualche giorno fa sono arrivate delle persone originarie del Kirghizistan. Lo status di rifugiato però – continua Stela – sono in pochi a chiederlo. Molti consumano un pasto caldo, fanno una doccia e proseguono il cammino.”
Il futuro incerto
Alle domande strettamente legate alla situazione politica Stela preferisce non rispondere. “Sono argomenti molto sensibili. Forse meglio non commentare”. Qualche giorno fa la presidente Maia Sandu ha annunciato la candidatura della Moldavia tra i paesi intenzionati ad entrare nell’Unione Europea. Ma la situazione rimane complicata, come emerge dalle parole di Nicu Popescu, ministro degli Esteri, intervistato mentre parlava dell’astensione del suo paese dalle sanzioni economiche: “Siamo troppo deboli per alzare la voce, rischiamo un punto di rottura”. Sorge spontaneo riflettere sul possibile punto di rottura, quella sottile striscia di terra stretta tra Moldova e Ucraina che i suoi abitanti chiamano Repubblica di Pridniestrov e noi chiamiamo Transnistria. Le analogie con le repubbliche di Donetsk e Lugansk sono tante: un territorio a maggioranza russofona, l’interesse di Putin nell’accorrere ad un’eventuale “richiesta di liberazione”, i rapporti tesi con il resto del paese. A complicare le cose, uno dei più grandi depositi di armi dell’est Europa.
“Nessuno si aspettava le bombe su Kiev, ma è successo. Siamo il paese più fragile della zona e non posso negare che ci stiamo preparando al peggio. La crisi c’è già” conclude Popescu. Stela e i suoi concittadini si chiedono quale sarà l’effetto delle ultime decisioni prese dal governo.