La posta in gioco di Ankara: tutto quello che rischia la Turchia dal conflitto russo-ucraino.
Con lo scoppio della guerra in Ucraina, la Turchia si trova in una posizione molto poco invidiabile. Ankara è membro NATO da esattamente settant’anni, ciononostante, negli ultimi anni, ha accresciuto sempre più la sua vicinanza strategica con Mosca dal punto di vista energetico, economico, diplomatico e come security partner in Siria in funzione anticurda. Ma anche con Kyiv i rapporti si sono fatti sempre più stretti, intensificando fra gli altri la cooperazione militare.
Ankara ha fino ad ora condotto un’eclettica politica di bilanciamento fra NATO, Russia ed Ucraina, ma l’invasione russa in Ucraina ha cambiato drasticamente le carte in tavola e ora Ankara sta facendo sempre più fatica nel suo precario equilibrismo diplomatico, nel tentativo di non alienare nessuno dei suoi partner.
Come laconicamente, ma efficacemente, riassunto da Europa Today: “Ankara ha criticato la NATO per la linea troppo morbida tenuta contro l’invasione, ma, pur essendosi schierata con Kyiv non può inimicarsi troppo Mosca”. È dunque una posizione strana quella della Turchia, stretta fra tre fuochi, con numerosi interessi in gioco (o in pericolo).
La “vittima”
La Turchia ha coltivato negli ultimi anni forti relazioni con l’Ucraina. Kyiv è diventato un partner sempre più strategico per Ankara, poiché rappresenta una zona cuscinetto fra sé e la Russia. Percependo la ghiotta occasione di sfruttare la posizione del paese come argine contro l’influenza e pressione russa nella regione del Mar Nero, dal 2014 la Turchia si è prima opposta all’annessione della Crimea da parte di Mosca, ha poi sostenuto la richiesta dell’Ucraina di aderire alla NATO e infine ha condiviso i suoi timori per l’aumento della presenza navale russa nel Mar Nero.
Il punto massimo del processo di avvicinamento fra Kyiv e Ankara si è avuto probabilmente a inizio febbraio di quest’anno, con la significativa firma di due trattati. È stato raggiunto un nuovo accordo nel settore della difesa per la produzione congiunta di droni su suolo ucraino, e ne è stato siglato un altro di tipo economico-commerciale per creare una zona di libero scambio fra i due paesi con l’intento di accrescere l’interscambio fino a 10 miliardi dollari, dagli attuali 7.4.
L’avvicinamento strategico con Kyiv sarebbe legato anche al crescente interesse della Turchia per il Mar Nero. Nell’agosto 2020, Ankara ha annunciato la scoperta di un giacimento di gas molto promettente, il Tuna-1 (detto anche Sakarya), contenente circa 405 miliardi di metri cubi di gas. Situato a circa 170 km dalle coste turche a nord della città di Zonguldak, è molto vicino al confine con le acque territoriali non solo di Romania e Bulgaria, ma anche a quelle appartenenti alla Crimea, e quindi di fatto controllate dalla Russia.
Mossa dalla speranza di trovare altri “tesori” simili, una presenza nel Mar Nero stabile e sicura è quindi fondamentale per la Turchia, che vede come fumo negli occhi l’aumentata presenza della marina russa e l’instabilità provocata dal conflitto in Ucraina.
Recep Tayyip Erdoğan sarebbe allarmato dalla rinascita del potere russo nel Mar Nero, che rischia di creare attriti e tensioni con i nuovi sogni di gloria turchi, e non solo parlando di energia. Da qualche anno, la Turchia ha adottato un nuovo approccio strategico-geopolitico, basato sulla dottrina del Mavi Vatan (Patria Blu), che ha aggiunto la dimensione marittima di sicurezza e potenza militare ai precetti della precedente “Profondità Strategica” (Stratejik Derinlik).
Prima del 2019 era la Turchia ad avere la flotta più numerosa di stanza nel Mar Nero, mentre oggi è la Russia. Ankara sente pertanto minacciata e messa a repentaglio la sua ambizione di allargare e rinforzare la sua sfera di influenza.
Il “carnefice”
La Turchia non vuole inimicarsi nemmeno la Russia, e mettere a rischio la sua strana e disfunzionale, ma strategica, relazione con Mosca. Come espresso da Erdoğan: “C’è bisogno di un attore che possa parlare con la Russia. Chi parla con la Russia se tutti buttano giù i ponti?”.
Le sue parole confermano la necessità di Ankara di tenere aperto quanto più possibile il dialogo con la Russia, e non ha intenzione di applicare le sanzioni occidentali né chiudere le relazioni diplomatiche con Mosca.
“Cooperazione competitiva non priva di paradossi e tensioni”, partner-rivali, amici-nemici (frenemies): sono tutte espressioni che ricorrono giornalisticamente per definire la complicata relazione fra Turchia e Russia, evolutasi negli ultimi anni seguendo il doppio binario della cooperazione e competizione.
Per la Turchia è essenziale non provocare le ire di Vladimir Putin, in quella che molti considerano una “interdipendenza asimmetrica” a favore di Mosca. Gli interessi che legano le due nazioni sono molteplici e sostanziosi. Innanzitutto gli accordi energetici: Ankara dipende fortemente per il suo fabbisogno energetico dalla Russia, da cui importa circa il 33 percento di gas e fra il 10 e il 30 percento di petrolio. A livello commerciale ed economico, esiste un forte squilibrio fra import russi verso la Turchia ed export turchi in direzione Russia dell’ordine di 29 contro 6 miliardi dollari. Dalla Russia, inoltre, arriva in Turchia circa il 56 percento delle importazioni di grano. Anche il turismo è un settore consistente, con circa il 18 percento di tutti i turisti in arrivo in Turchia provenienti dalla Russia (2019).
Ankara e Mosca collaborano anche a livello militare, tuttavia la difesa è l’ambito di cooperazione più problematico, in quanto difficilmente compatibile a lungo termine con l’appartenenza NATO della Turchia: a causa dell’acquisto del sistema di difesa missilistico russo S-400 per un valore di 2.5 miliardi di dollari, Ankara è stata estromessa dal programma di sviluppo F-35 degli Alleati, oltre a subire pesanti sanzioni da parte di Washington secondo il CAATSA (Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act).
Alla cooperazione fa da contraltare un’accesa competizione in altri teatri di crisi, in cui le due nazioni sono opposte sul terreno e appoggiano fazioni avversarie: è il caso della Libia per esempio, oppure del conflitto del Nagorno-Karabakh.
I due paesi quindi “cooperano quando possibile e si confrontano dove necessario”, e comunque quasi mai direttamente, in una rigida compartimentalizzazione degli interessi.
Una situazione ostica
La Turchia ha quindi molto da perdere dal conflitto fra Kyiv e Mosca, fra interessi strategici, la sicurezza del suo vicinato settentrionale e l’equilibrio di forze nel Mar Nero. Ed è una situazione che sta diventando sempre più ostica per la Turchia, anche alla luce delle conseguenze che rischiano di gravare sull’economia del paese. La guerra fra i due importanti partner della Turchia avrebbe infatti effetti gravi, fra interscambi commerciali estremamente ridotti (se non azzerati), ripercussioni sul turismo e probabili pericolose fluttuazioni dei prezzi dell’energia.
La Turchia ha dichiarato che non avrebbe imposto le sanzioni alla Russia, ritenute “inutili e controproducenti”. Sanzioni che andrebbero in ultimo a impattare pesantemente una già sfiancata economia turca – Erdoğan lo sa bene. Secondo la Confindustria turca, il paese perderebbe fra i 35 e 50 miliardi di dollari dal conflitto. Un “lusso” che il presidente turco in questo momento non si può permettere, in vista delle elezioni del 2023, il cui esito già ora si preannuncia molto meno scontato del previsto.
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