Cosa succede in Bielorussia e come si vive in questi giorni di guerra tra Russia e Ucraina? Abbiamo raccolto una testimonianza direttamente da Minsk
Oggi abbiamo deciso di intervistare una donna che vive a Minsk, capitale della Bielorussia coinvolta in una guerra in Ucraina a cui nessuno avrebbe voluto assistere. Ci ha chiesto di mantenere l’anonimato perché, come ci ha scritto in un messaggio, “io vivo in Bielorussia e qui ci sono tante repressioni”. Una frase che ben dipinge il quadro di tensione visibile (e vivibile) nel Paese. Le abbiamo chiesto di raccontarci come si vive questa guerra a Minsk, le sue paure e di dire qualcosa a tutti coloro che in questi giorni si stanno lanciando ad attacchi nei confronti del popolo bielorusso e russo, la cui colpa è semplicemente la nazionalità.
Tu vivi a Minsk. Che clima c’è in questi giorni?
«Qui si vive male, ma non solo ultimamente. Nel novembre del 2020 abbiamo dovuto mettere fine alle proteste contro Lukashenko perché era diventato troppo rischioso e più della metà dei miei amici hanno lasciato la Bielorussia per paura. È un po’ come stare in Unione Sovietica nel 1937, quando chiunque ti poteva denunciare alle autorità per tradimento. Qui siamo tutti contro tutti: i bielorussi che cercano la libertà contro i bielorussi pagati dal governo, non sai mai dove si nasconde il tuo nemico».
Com’è cambiata la situazione dopo l’inizio della guerra?
«In questi giorni è peggiorata. In città non si muove una foglia e anche nel mio quartiere, dove fino a poche settimane fa c’era sempre musica e gente che chiacchierava, ora c’è silenzio sempre: di giorno e di notte. La cosa più strana è che anche quelli che chiamiamo yabat’ki o lukashisty, ovvero i sostenitori di Lukashenko, iniziano a farsi delle domande. Siamo tutti preoccupati perché non sappiamo cosa può succedere domani».
Com’è la vita quotidiana oggi in città?
«Le persone escono solo per andare al lavoro o a fare la spesa. Ancora non sappiamo se la guerra arriverà anche qui, ma molta gente ha già comprato cibo per sopravvivere una o due settimane. Le mie amiche mi chiamano e mi dicono “se succede qualcosa veniamo da te che hai la cantina”».
I tuoi familiari hanno paura?
«Ieri mia mamma mi ha chiamato in un momento in cui non potevo rispondere. Ha cominciato ad insistere e ho risposto dicendole che non potevo parlare. Lei mi ha detto “ho sentito la tua voce, ora va tutto bene”. Era preoccupata perché ha visto che per diverse ore non avevo dato aggiornamenti su Instagram e aveva sentito che tante persone erano state arrestate, quindi ha avuto paura per me».
Ci sono stati aumenti nei prezzi, code in banca o difficoltà nel fare la spesa?
«Sappiamo già come fare, perché da tempo la situazione è instabile. Tanti di noi tengono già i soldi in casa: euro, dollari e rubli, tutto quello che può servire per sopravvivere a una crisi. Gli aumenti per noi sono normali e non è una novità vedere ogni giorno un incremento di 5 o 10 copechi. Se domani dovessero chiudere la frontiera con la Polonia avremmo non pochi problemi perché non sarebbe più possibile far arrivare prodotti dall’Europa o da altri Paesi. Chi usa medicine ha fatto scorte».
Qual è il tuo timore più grande?
«Ne ho passate così tante che non ho paura di niente, tranne che di perdere qualcuno a me caro».
Hai amici ucraini o russi?
«Sì, io e la mia famiglia abbiamo tanti amici in Ucraina e in Russia. Mia mamma durante una telefonata si è messa a piangere ricordando le nostre vacanze a Odessa o i fine settimana a Kyiv. Un mio amico ucraino mi ha chiamato il 24 febbraio dicendomi che era riuscito a scappare durante la notte, verso la Polonia, e ieri mi ha scritto anche un’altra amica che è riuscita a lasciare il Paese».
Come ti informi sulla guerra?
«Io passo tantissimo tempo con il telefono in mano per leggere le notizie ed è così da 18 mesi. Principalmente Telegram, dov’è possibile trovare molte informazioni. Qui però alcuni canali sono vietati, quindi non posso iscrivermi: entro, leggo ed esco. I poliziotti controllano e se ti scoprono possono darti una multa o, peggio, portarti in carcere. È dal 2020 che non guardo la TV, qui fanno solo propaganda e non esiste l’informazione libera».
È diverso ciò che pensano i giovani e quelli più adulti?
«Ci sono differenze, ma non sono strettamente legate all’età. Se prendiamo mia mamma, per esempio, lei la pensa come me. È più una questione di cultura, di conoscenza e di informazione».
Come hanno reagito i bielorussi all’invasione dell’Ucraina?
«Posso solo dire che le persone che domenica 27 febbraio sono uscite per protestare contro la guerra sono dei grandissimi eroi. Ci sono stati più di 800 arresti».
Cosa sai della crisi migratoria ancora in corso e sul campo di Bruzgi?
«So che è stata un’operazione ai danni dell’Europa, ma ora qui non se ne parla più. L’estate scorsa la città era piena di migranti, ma oggi non si vede più nessuno. Forse sono nascosti da qualche parte. Sappiamo che vicino alla frontiera dovrebbero esserci ancora 400 persone circa, ma davvero non so niente di più».
Cosa ti piacerebbe dire a coloro che condannano il popolo bielorusso per le azioni intraprese da Vladimir Putin?
«Vorrei chiedere a tutte queste persone dov’erano nel 2020 quando la Bielorussia chiedeva aiuto. Non abbiamo votato per Lukashenko e con le nostre proteste pensavamo di poter cambiare le cose, che “il nonno” avrebbe capito di non essere il benvoluto. Invece non è cambiato nulla, anzi, il suo “fratello maggiore” è arrivato in aiuto con l’obiettivo di entrare nella storia con un “nuovo impero russo”. Putin ha preso la Bielorussia senza la guerra, siamo sotto il suo controllo e nessuno ci ha mai chiesto se lo volevamo. Una volta una ragazza mi ha scritto: “ma voi non siete NATO, perché dovremmo aiutarvi?”. Forse, se tutto il mondo si fosse unito intorno alla Bielorussia nel 2020, oggi non saremmo a questo punto. Putin ha usato la Bielorussia per arrivare in Ucraina e ora lì stanno morendo donne, bambini, uomini. Qui si dice anche che dopo l’Ucraina vorrebbe prendere la Moldavia, chissà. Però, se nel 2020 avessero sanzionato anche Putin, e non solo Lukashenko, oggi questa guerra non esisterebbe».
Tu ti senti in guerra? Personalmente come stai vivendo questo conflitto?
«In questi giorni tutto il mondo dice che noi bielorussi partecipiamo alla guerra. A me sentire queste parole fa male, perché non dipende dal popolo. Noi dal 2020 viviamo nella paura. Qualche mese fa sono andata anche da uno psicologo per capire come poter vivere in questo modo, come fare ad andare avanti sapendo che tanti miei amici vengono torturati e picchiati. Come posso io lavorare, leggere e fare le cose di tutti i giorni quando non so nemmeno cosa succederà domani? Nonostante questo, però, io e i miei amici non perdiamo la speranza e cerchiamo di trovare motivi per sorridere nelle piccole gioie quotidiane».