In Bulgaria l’invasione russa ha suscitato la condanna generale della politica. Ma con qualche eccezione
Le posizioni dei partiti
Il 22 febbraio, il mondo della politica bulgaro ha condannato quasi unanimemente le politiche del Cremlino. Quasi. Ad astenersi dalla firma sono stati il partito di estrema destra Revival, recentemente entrato in parlamento, e il Partito Socialista Bulgaro (BSP), successore del defunto Partito Comunista – la Bulgaria è stata una repubblica socialista dal 1944 al 1990, anno di passaggio al multipartitismo e all’economia di mercato.
Per varie ragioni culturali e storiche (Il BSP, che ha ancora una forte impronta russofila, è uno dei maggiori partiti nel paese), la Russia ha sempre giocato un ruolo importante nella politica bulgara.
Ad accendere ulteriori controversie, poi, sono state le dichiarazioni del ministro della difesa ed ex primo ministro ad interim Stefan Yanev in seguito alle operazioni militari di Mosca. “Non affrettiamoci ad etichettarla [come invasione]” ha detto Yanev, che già nel 2021 aveva criticato lo stanziamento di truppe NATO in Bulgaria e Romania, ribadendo che sarebbe stato “un ‘inutile inasprimento delle tensioni”.
Nonostante ciò, “Continuiamo il cambiamento”, “C’è un popolo così” e “Bulgaria Democratica”, partiti di maggioranza insieme al BSP, hanno tutti condannato fermamente le azioni del Cremlino.
La questione delle statue
Negli ultimi anni, il dibattito (analogamente a quanto è avvenuto in molti paesi occidentali) ha toccato anche l’aspetto urbanistico del paese, che sotto questo punto di vista risente profondamente del passato sovietico. Sono molte le statue dedicate agli eventi del 1944, anno del rovesciamento del Regno di Bulgaria, e agli eroi dell’Armata Rossa – basti pensare all’imponente monumento loro dedicato nel centro di Sofia. Le opinioni di esperti e cittadini in merito ricalcano pedissequamente le affermazioni dei cittadini europei e oltreoceano nello stesso ambito: per alcuni la presenza di questi monumenti è inopportuna, perché glorificherebbe le imposizioni comuniste; per altri si tratta di un monumento storico, e perciò intoccabile; per altri ancora, inopportune sarebbero solamente le placche e le targhe che citano l’Unione Sovietica, e che quindi riaffermerebbero la centralità della Russia nelle istituzioni e nella politica bulgara.
“Avvierò le procedure per la ricollocazione del monumento [dell’Armata Rossa] ora che tutto il consiglio di amministrazione, eccetto i membri del Partito Socialista Bulgaro, hanno concordato questa decisione” ha scritto su Facebook Tryacho Traykov, ex ministro dell’economia e ora membro del consiglio comunale di Sofia. Ma i provvedimenti non sembrano essere imminenti.
Proprio le opere di epoca comunista erano state “campo di battaglia” nel 2014, a seguito dell’annessione russa della Crimea. Il soldato che campeggia in primo piano, nel gruppo scultoreo alla base del monumento di Sofia, era stato colorato di giallo e azzurro. Ai suoi piedi la scritta in bulgaro: “Giù le mani dall’Ucraina”. Non stupisce quindi che in questi giorni a Burgas, quarta città più grande della Bulgaria, sia comparsa la dedica “Putin Killer” su un bassorilievo che ritrae l’Armata Rossa.
Un distacco dall’eredità sovietica?
Le azioni del governo bulgaro, comunque, vanno nella direzione degli altri paesi dell’Unione Europea e della NATO, di cui la Bulgaria fa parte. “Condanniamo fermamente l’aggressione militare della Russia contro l’Ucraina. L’uso della forza militare contro uno stato sovrano è inaccettabile nel XXI secolo” – ha scritto il primo ministro Kiril Petkov. Anche il presidente Rumen Radev si è pronunciato recentemente sugli avvenimenti, parlando della popolosa minoranza bulgara in Ucraina e sui circa 4.000 rifugiati che si aspetta di accogliere a breve, mentre sul confine rumeno e sulle coste del Mar Nero vengono create postazioni apposite gestite da volontari.
Lo stesso Radev ad inizio febbraio aveva partecipato inaspettatamente alla Giornata del Ricordo e del Rispetto delle vittime del regime comunista, cosa mai avvenuta durante i suoi 5 anni di mandato come presidente. Le ultime decisioni del governo – compresa anche la distensione nei rapporti con la Macedonia del Nord – fanno pensare, complessivamente, ad un cambio nella narrazione politica. Il timone sembra non puntare più a Mosca ma a Bruxelles.