Il morale delle truppe russe appare basso mentre in Russia si protesta contro la guerra. Gli ucraini intanto resistono anche a Kharkiv. Quanto conta il morale per vincere una guerra?
L’aggressione russa avanza malgrado la resistenza ucraina e truppe sono entrate a Kharkiv, seconda città del paese, che conta circa un milione e mezzo di abitanti, uno dei centri economici più importanti del paese. In città si combatte “strada per strada“, secondo quanto riferito da fonti ucraine. Kiev è stata pesantemente bombardata nella notte, secondo l’agenzia russa Interfax a essere colpito è stato il quartiere di Troyeshchyna. Tra le vittime anche civili.
In queste ore circolano video che mostrano aerei abbattuti, colonne di carri armati russi carbonizzati, corpi di soldati insepolti, prigionieri scossi che dichiarano di non sapere nemmeno perché sono stati mandati a invadere l’Ucraina. I soldati catturati guardano in basso, sono spesso facce giovani, poco più che ragazzi. I dialoghi avvengono in russo, come davanti a uno specchio. Intanto su Twitter si inseguono voci su presunti ammutinamenti, soldati russi che svuotano la benzina dei tank e li abbandonano lungo la strada. Il morale delle truppe russe appare basso, i soldati poco motivati a proseguire una guerra che non sentono propria.
Non possiamo sapere quanto ci sia di vero, le narrazioni del conflitto sono esse stesse un’arma. L’esercito ucraino resiste come può, non senza fierezza, ma l’impressione è che la Russia non abbia ancora utilizzato tutto il suo potenziale bellico. Non possiamo illuderci che gli ucraini, da soli, tengano testa al nemico. E cantare le lodi degli eroi è già un elogio funebre. Tuttavia, rispetto all’invasore, gli ucraini appaiono motivati a resistere. Armi sono state distribuite ai civili e il sentimento generale è di sdegnoso rifiuto, quando non concreta opposizione, nei confronti dell’aggressione russa. Non sembra esserci spazio per il fatalismo, per la supina accettazione del sopruso, per la volontà di resa. E la storia ci insegna quanto importante sia il morale della popolazione durante una guerra.
Non possiamo dire lo stesso dei russi. Il malcontento per un’operazione militare – come la definisce il Cremlino – verso un paese tradizionalmente vicino, verso un popolo amico, è crescente. Il 24 febbraio a Mosca, san Pietroburgo, Perm’, Novosibirsk hanno avuto luogo manifestazioni di protesta, subito represse dalla polizia che ha compiuto circa 1700 arresti. Questo non ha fermato le azioni di dissenso, spesso individuali, come cartelloni e graffiti contro la guerra. Azioni che costano l’arresto, e che richiedono una buona dose di coraggio, ma che sono il segno di qualcosa di più ampio, sotterraneo, diffuso in tutto il paese, anche se non quantificabile: l’opposizione a Putin.
I russi sono essi stessi una parte della soluzione al problema. Più questa guerra si protrarrà, più soldati non torneranno a casa, più la guerra mieterà vittime civili, e più il sentimento di sconforto e vergogna si diffonderà in Russia. Allora l’ebbrezza del potere, della violenza, della guerra, che promana dal Cremlino, potrebbe scomporsi in raffiche di disagio, di disgusto, di rifiuto. Lo zar vittorioso apparirà allora nelle sue reali spoglie di assassino?
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