Se a fare notizia è la notizia recente che Sean Penn si trova in Ucraina a girare un documentario sulla crisi e sull’attacco russo, la presa di posizione di Oleh Sentsov e Sergei Loznitsa, due registi ucraini di spicco, merita altrettanta attenzione
Risale al 14 febbraio 2022 il loro appello, congiunto a centinaia di altri esponenti del mondo intellettuale ucraino, per una de-escalation militare e una soluzione pacifica al conflitto, ma di certo si tratta solo dell’ultima delle loro azioni. Entrambi, in modi diversi, si sono distinti a livello internazionale, e hanno avuto modo di narrare la difficile situazione vissuta nello scorso decennio nel loro paese.
Oleh Sentsov
Originario della Crimea, Sentsov è diventato tristemente noto internazionalmente nel 2014, quando, insieme ad altri tre cittadini ucraini, fu arrestato dalle autorità russe con l’accusa (infondata) di terrorismo. Precedentemente facente parte dell’organizzazione AutoMaidan, Sentsov si era dichiarato contrario all’annessione russa della Crimea. Riconosciuto a livello internazionale come prigioniero politico, il supporto è arrivato anche dal mondo del cinema. Tra i firmatari dei vari appelli e lettere aperte, si trovano i nomi di Pedro Almodovar, Agnieszka Holland, Ken Loach, Béla Tarr, Wim Wenders, ma anche i principali esponenti del cinema russo contemporaneo: Alexander Sokurov, Nikita Mikhalkov, Andrei Zvyagintsev.
Un caso allarmante in cui Sentsov sarebbe stato indotto ad una falsa ammissione di colpa con mezzi di tortura e minacce di violenza sessuale. Incarcerato e collocato in alcune delle carceri più remote nella Siberia, fece uno sciopero della fame di 145 giorni nel 2018, per esigere la liberazione di tutti i cittadini ucraini imprigionati per motivi politici. La sua liberazione avvenne nel 2019, nell’ambito di uno scambio di prigionieri.
Durante il suo periodo di incarcerazione, Sentsov riuscì a scrivere e dirigere “per corrispondenza” un dramma teatrale, Nomery, trasformato in film e presentato l festival di Berlino nel 2020. Una distopia dai tratti orwelliani, in cui le persone sono identificate per mezzo di numeri e governa un Dio a loro inaccessibile ed invisibile. Pur non essendo particolarmente innovativo, prendendo molto da distopie già redatte, è palese il parallelismo della trama con la storia dell’ucraina, il passaggio dal sistema comunista a quello capitalista e soprattutto la nascita di un nuovo regime anti-democratico, per nulla migliore del precedente.
Nel 2021 Sentsov ha debuttato a Venezia con il film sul quale lavorava prima dell’arresto, e che è finalmente riuscito a completare: Nosorih. La particolarità di questo film è la completa assenza di tematiche politiche (se non sotto forma di sfondo storico): è un film di gangster, che si incentra sull’ascesa di “Rhino” (Nosorih, in Ucraino) tra i ranghi della criminalità organizzata locale, ambientato negli anni ’90, durante la complicata fase di transizione post-regime.
Si tratta di un film inconvenzionale per il proprio genere, che si sofferma ampiamente su un percorso di redenzione, o perlomeno di rimpianto, che mette in questione la violenza (peraltro, relativamente brutale, nel film). Sentsov inoltre dimostra le sue qualità registiche inscenando la storia familiare del protagonista attraverso un molto dinamico piano sequenza (con tagli nascosti), interamente ambientato in una piccola casa, uno degli utilizzi di questa tecnica più convincenti del 2021 (secondo forse solo ad Evolution di Kornél Mundruczó).
Sergei Loznista
Formatosi allo storico VGIK di Mosca (alma mater di un numero incredibile di cineasti, tra cui Tarkovskij, Elem Klimov, Aleksei German, Sergej Parajanov, Alexander Sokurov, ecc.), Loznitsa è noto sia come documentarista che come regista di lungometraggi di finzione, regolarmente presentato a Cannes, dove nel corso degli anni ha ottenuto vari premi: il premio della critica FIPRESCI nel 2012 per In the Fog, ed il premio per il miglior regista nella sezione Un Certain Regard nel 2018 per Donbass.
I suoi documentari sono caratterizzati dall’assenza di un commentario. Costituiti da materiale d’archivio che testimoniano e narrano di vicende storiche, spesso risalenti alla Seconda guerra mondiale, come la battaglia di Leningrado in Blockade, o i funerali di Stalin in State Funeral, o ancora il massacro degli ebrei di Babij Jar e le sue conseguenze nella società ucraina contemporanea in Baby Yar. Context, il suo film più recente, presentato sempre a Cannes e in anteprima italiana al trentatreesimo Trieste Film Festival.
Nel contesto della situazione contemporanea, il suo film più importante è Donbass. Opera di finzione (anche se pare sfiorare il genere docu-fiction in alcune scene), è un mosaico di scene isolate fra loro, legate solitamente da un elemento di associazione (per esempio: un autobus che si trova nello sfondo di una scena e che diventa centrale nella scena successiva), tese a descrivere la situazione del Donbass nel 2018. Per certi versi quasi satirico e grottesco, ma sempre sconvolgente ed inquietante, il film inscena il potere della propaganda che ha colpito le forze separatiste, soffermandosi in particolare sulla questione della diffusione e della costruzione di notizie false, al contempo rappresentando la realtà dura della guerra civile che all’epoca dell’uscita del film, non faceva più notizia a livello internazionale, ma che si protraeva ancora. È interessante sottolineare che, ancora una volta spicca il piano sequenza come tecnica prevalente nel film: molte delle scene sono state girate in un solo movimento di macchina (stavolta senza tagli). Attraverso l’uso massiccio di questa tecnica Loznitsa è riuscito a ottenere un maggiore grado di realismo in quest’opera cinematografica, che ricordiamo essere comunque di finzione. Va sottolineato che anche un altro regista ucraino che sta iniziando a raggiungere la notorietà utilizza prevalentemente il piano sequenza: Valentyn Vasyanovich. Il suo ultimo film, Reflection, presentato a Venezia l’anno scorso, è interamente composto da piani sequenza, meno dinamici. La filmografia di Vasyanovich si è soffermata molto sulla Guerra del Donbass, protagonista delle vicende del suo film precedente, Atlanyda, ed è meritevole di un approfondimento a parte.
Sentsov e Loznitsa sono esponenti di un cinema che sta avendo una sua rinascita nel periodo più difficile della sua storia nazionale. Si è visto in passato che alcuni dei movimenti più radicali della storia del cinema, come per esempio la Nova Vlna cecoslovacca o la fase più estrema della filmografia di Wajda hanno visto la luce proprio in momenti storici avversi, anche se non comparabili con la guerra scoppiata recentemente. In ogni caso, Sentsov e Loznitsa sono prova delle possibilità espressive del cinema ucraino nel descrivere e denunciare una delle situazioni più drammatiche della loro storia nazionale.