La Corte di giustizia europea oggi decide se è legittimo tagliare fondi alla Polonia per saldare la multa non pagata sulla miniera di Turów
La Polonia è ancora una volta nel mirino dell’Unione europea per il mancato rispetto dello stato di diritto. Al centro della disputa tra Varsavia e Bruxelles, sulla quale la Corte di giustizia europea si esprime in giornata, è la decisione della Commissione europea di trattenere parte dei fondi destinati al paese nell’ambito del recovery fund post pandemico. Si tratterebbe della prima applicazione del “meccanismo di condizionalità” dello stato di diritto, in funzione da gennaio 2021, che permette a Bruxelles di punire i paesi membri agendo sui fondi europei destinati ad essi.
La Polonia ferma sulla sua decisione
La somma che verrebbe trattenuta corrisponde alla multa che Varsavia avrebbe dovuto pagare per la mancata chiusura della miniera di Turów entro maggio 2021, responsabile dell’inquinamento lungo il confine con la Repubblica Ceca. La Polonia aveva infatti prolungato fino al 2026, violando le norme comunitarie, l’attività della miniera senza effettuare i controlli sull’impatto ambientale previsti dall’Unione.
Sono molteplici le motivazioni che hanno spinto Mateusz Morawiecki, primo ministro del partito Diritto e giustizia (Pis) a negare più volte la chiusura della miniera di lignite prima e il pagamento della multa poi. Innanzitutto, secondo le autorità polacche la chiusura disposta dall’Ue comporterebbe una perdita significativa sia in termini energetici che economici: la cava produce il 5-7% dell’energia nazionale e impiega migliaia di lavoratori.
Per Varsavia caso chiuso dall’accordo con i cechi
Inoltre, ancora più delle conseguenze economiche, Il PiS considera fondamentale mantenere una linea rigida per non cadere vittima del presunto tentativo di ricatto dell’Unione: secondo Varsavia, infatti, Bruxelles sta attaccando il paese ingiustamente, colpendolo nel bel mezzo di una pandemia globale che ha messo a dura prova l’economia nazionale, al solo scopo di raggiungere obiettivi climatici con cui Morawiecki si è dichiarato in disaccordo.
Anche Zbigniew Ziobro, ministro della Giustizia, si è detto preoccupato dalle richieste dell’Unione: assecondandole la Polonia rischierebbe di dar inizio ad una serie di ulteriori istanze da Bruxelles. Infine, la Polonia considera il debito ambientale nei confronti della Repubblica Ceca espiato: il governo ha trovato un accordo con Praga per il pagamento di 45 milioni di euro per risarcire i danni ambientali e stabilire un sistema di monitoraggio della miniera.
Il responso della Corte sarà fondamentale
La Corte è chiamata a decidere se sia o meno accettabile la volontà della Commissione europea di trattenere parte dei fondi stanziati per il periodo 2021-2027 nell’ambito del recovery fund, come punizione nei confronti dei paesi membri che non rispettano le direttive comunitarie.
In caso di decisione positiva la Polonia sarà, insieme all’Ungheria, il primo Stato al quale il nuovo meccanismo di condizionalità viene applicato: nonostante il giurista Laurent Pech abbia confermato che “ci sono tutti gli elementi necessari per attivare tale procedura”, sarà molto importante per la commissione assicurarsi il sostegno di almeno il 55% degli Stati membri, in modo da essere sicura di vincere nel caso di un ricorso di Varsavia e Budapest.
Il governo Morawiecki è infatti pronto, sostenuto dal premier ungherese Viktor Orbán, a mettere in dubbio la legittimità della Corte. Nel tentativo di trovare altri sostenitori, i due capi di governo stanno cercando di persuadere i membri dell’Unione della necessità di affidare le scelte politiche agli Stati stessi, e non ad un organismo sovranazionale come la Corte di giustizia europea.
Le possibili conseguenze
Da un lato, in caso di esito favorevole, l’Unione europea avrà finalmente la possibilità di dimostrare agli Stati membri quali sono gli strumenti a sua disposizione per punire le violazioni, condizione che sta attualmente colpendo diversi membri dell’Ue. Il responso della Corte sarà, inoltre, fondamentale per il futuro dell’Unione che, in quanto comunità fondata su accordi internazionali tra Stati, che hanno garantito di rispettare principi e norme comunitarie, perderebbe di credibilità.
Dall’altro lato, nonostante le ripercussioni negative possibili siano svariate e oggetto di preoccupazione per Bruxelles, come sostenuto dall’eurodeputata Terry Reintke, se la Commissione non applicherà il meccanismo vorrà dire che avrà deciso di non utilizzarlo contro il regredire della democrazia e avrà preso la decisione sbagliata. Legare i fondi al rispetto dello Stato di diritto rappresenta senza dubbio un importante strumento per incentivare i paesi membri a rispettare le regole comunitarie, e il caso polacco sarebbe la dimostrazione della capacità e volontà dell’Ue di rimanere unita e di agire di fronte alla violazione degli standard democratici.