La strategia USA per guadagnare tempo è quella di annunciare sempre l’imminente invasione, sperando così di interrompere i piani di Putin
Da un paio di mesi assistiamo a un susseguirsi di annunci sull’imminente invasione russa dell’Ucraina, che si sono intensificati nelle ultime settimane, indicando le date possibili dell’attacco e spostandole sempre più avanti nel tempo.
Information warfare targata USA
Le fonti di queste informazioni sono sempre d’intelligence ma la stampa occidentale le ripropone acriticamente, mascherandole per dati di fatto. Si tratta invece di information warfare, ovvero dell’uso dell’informazione in ogni sua forma e a qualunque livello con lo scopo di assicurarsi il decisivo vantaggio militare. Un gioco cui i russi hanno magistralmente giocato negli ultimi dieci anni, e che ora viene usato contro di loro. “Era dai tempi della crisi dei missili a Cuba che non si assisteva a un uso così aggressivo dell’informazione” da parte della Casa Bianca, scrive il New York Times, che sottolinea come la speranza degli americani sia “che la divulgazione dei piani del Cremlino li interrompa, ritardando un’invasione e guadagnando più tempo per la diplomazia, o anche dando a Putin la possibilità di riconsiderare i costi politici, economici e umani di un attacco”.
Allinearsi a Washington
Ma c’è dell’altro. Seminando il panico mediatico, l’amministrazione americana spera di ottenere dagli alleati quella disponibilità a una reazione più dura contro Mosca che, finora, molti membri NATO non hanno voluto sostenere. Per riuscirci è necessario orientare l’opinione pubblica europea. E il profluvio di veline pubblicate dai nostri giornali, che le spacciano come fatti, serve allo scopo. Ed è questo il lato più desolante della vicenda: se la Russia ha fin qui potuto giocare alla guerra dell’informazione in modo efficace è perché dispone di una rete fittissima di media governativi, abili nel diffondere la propaganda del Cremlino. La stampa libera dei paesi democratici non dovrebbe comportarsi allo stesso modo e invece, in larga parte, lo fa.
Il precedente iracheno
Si tratta di un approccio acritico e scarsamente professionale da parte di chi, invece, dovrebbe avere come unico scopo quello di cercare di avvicinarsi il più possibile alla verità dei fatti, svolgendo così il proprio dovere nei confronti dei cittadini. Tanto più che il recente passato dovrebbe aver insegnato un po’ di scetticismo nei confronti del potere, anche di quello democratico. Prima dell’invasione dell’Iraq nel 2003, l’amministrazione Bush ha diffuso intercettazioni, foto di laboratori di armi chimiche, tutte fonti di intelligence poi rivelatesi false e costruite a tavolino per giustificare l’aggressione militare. Ma questa è un’altra storia.
Troppe informazioni?
Oggi gli Stati Uniti e i suoi alleati britannici non vogliono attaccare, ma impedire un attacco per difendere l’Ucraina. Una strategia che però si sta rivelando controproducente. Il governo ucraino ha espresso disagio per le rivelazioni americane. Il presidente Zelensky ha affermato che “troppe informazioni” su una possibile offensiva russa stanno seminando paure inutili. E la paura è un detonatore formidabile per un conflitto. Così l’annuncio dell’evacuazione del personale diplomatico russo dall’ambasciata di Kiev ha preso in contropiede le autorità americane, costrette a un identico e repentino annuncio, alimentando quell’escalation che, in teoria, vorrebbero fermare.
La Russia è un pericolo reale
L’information warfare è uno strumento fondamentale in un contesto militare combinato e integrato, in cui il conflitto si sviluppa attraverso vari canali, dalla pressione militare alla diplomazia coercitiva, dalla guerra d’informazione allo spionaggio, dalla guerra per procura alle tensioni finanziarie. Ma la guerra vera, sul campo, è un pericolo reale e la Russia ed è in grado di vincerla. I carrarmati non sono di plastica. Limitarsi a una guerra d’informazione potrebbe rivelarsi alla lunga insufficiente. Il Cremlino non giocherà a lungo al gatto col topo.