Una legge per la formazione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo sembra essere un nuovo passo verso la secessione della Republika Srspka voluta dal presidente Dodik
Milorad Dodik non arretra e, anzi, rilancia. Il membro serbo della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina (BiH) ha lasciato solo che la polvere sollevata dalle sue precedenti esternazioni si posasse per poi tornarci su, reiterandole pari pari, con la verve e l’arroganza di sempre.
Le iniziative dell’Assemblea della Republika Srpska
Nel corso di una conferenza stampa tenutasi giovedì scorso, Dodik ha infatti informato il mondo intero che l’Assemblea nazionale della Republika Srpska (RS) – guidata dalla sua Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (SNSD) – ha revocato il consenso sia per la formazione delle forze armate sia per l’organizzazione delle imposte indirette a livello statale ribadendo, con ciò, l’intenzione di muoversi in modo indipendente in entrambi gli ambiti. Tradotto: un esercito autonomo a livello di RS e creazione di una amministrazione locale per la gestione e la riscossione delle tasse indirette.
Ma l’evento più dirompente dei giorni scorsi è stato il via libera del parlamento della RS alla discussione di un disegno di legge che prevede la costituzione di un Consiglio superiore della magistratura e della procura (HJPC), in pieno conflitto con l’analogo ente istituito a scala nazionale già nel 2004. L’eventuale approvazione di questo disegno di legge – che dovrebbe tornare in parlamento per la discussione finale entro 90 giorni – configurerebbe, quindi, la creazione di un’istituzione incostituzionale poiché prevedrebbe il trasferimento di competenze statali alla singola entità, la RS appunto.
Le reazioni
L’accelerazione impartita da Dodik ha generato più di una tensione, scatenando un fuoco di fila di reazioni stizzite, dentro e fuori confine. Reazioni tanto ovvie quanto, con ogni probabilità, attese dallo stesso Dodik che ha avuto così modo di sondare il terreno e di capire che aria tira. La prima reazione è, in realtà, un atto dovuto ed è l’apertura di un’indagine da parte della Procura bosniaca per “attentato all’ordine costituzionale” indirizzato ad un numero imprecisato di persone.
Di “progetto legislativo che va contro la legge” ha invece parlato esplicitamente Christian Schmidt, Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina. E sulla stessa linea si sono espressi anche gli ambasciatori del comitato direttivo del Peace Implementation Council che, in una dichiarazione congiunta – sottoscritta con la sola, ma significativa, eccezione del rappresentante russo – hanno evocato la “violazione della costituzione e dell’ordinamento giuridico della BiH” minacciando, nemmeno troppo velatamente, che l’adozione di una legge sull’HJPC “sarebbe incompatibile con il processo di integrazione europea della Bosnia-Erzegovina”.
Che effetto che fa
“Poco” ha forse pensato Dodik, “tutto sommato poco”, perlomeno a livello mediatico. Quando nell’estate scorsa il leader serbo-bosniaco aveva dato il via a questa escalation – adducendo a casus belli quello dell’emendamento al Codice penale per bandire la negazione pubblica del genocidio di Srebrenica voluto dall’Alto Rappresentante uscente, Valentin Inzko – il mondo intero aveva seguito gli sviluppi della vicenda con crescente preoccupazione.
La stampa internazionale aveva esplicitamente evocato il rischio incombente di una spirale drammatica, forse addirittura di una nuova guerra. Da più parti era stato sottolineato il parallelismo tra la situazione attuale e quella che si era vissuta alla vigilia del conflitto di inizio anni Novanta. Erano intervenute l’Europa e gli Stati Uniti ai massimi livelli: intervento che, poco più di un mese fa, era sfociato nella ratifica da parte dell’amministrazione Biden di una serie di sanzioni contro Dodik, reo di “attività corruttiva” e di “destabilizzare la regione e minare l’accordo di pace di Dayton” .
A questo giro, invece, le reazioni sono state piuttosto tiepide, poco o nulla sulla stampa al di fuori del paese, quasi un “dovere d’ufficio” quelle istituzionali. Difficile dire se si tratti di assuefazione o di altro: certo il rischio che un atteggiamento passivo possa – seppure indirettamente – avallare le mire secessioniste di Dodik, consolidandone una certa posizione di rendita e ponendolo in una condizione di forza in futuribili tavoli negoziali, c’è. Si esacerbano i toni, si forzano le mosse, ottenendo una sorta di tacito consenso al cambiamento, un’implicita mutazione de facto del quadro politico-istituzionale. Si guadagna campo, terreno: un terreno che sarà poi utilissimo allorquando ci sarà da discutere sul serio.
Non si sa se sia effettivamente questa la strategia di Dodik, così come non si sa se l’Europa e il mondo staranno veramente a guardare senza intervenire. Una prima cartina di tornasole si avrà già nei prossimi giorni: il 21 febbraio, infatti, è previsto a Bruxelles il Consiglio Affari Esteri dell’UE per parlare proprio di Bosnia. All’ordine del giorno “clima” e “cyber-sicurezza” ma anche un generico “temi di attualità”. Un’occasione da non perdere per serrare le righe e tornare, magari, sull’ipotesi di applicazione delle tanto sbandierate sanzioni a Dodik. Sanzioni ancora chiuse nel cassetto, con la chiave nelle tasche del premier ungherese Viktor Orban.