Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha annunciato il ritiro del personale diplomatico non essenziale dall’ambasciata a Kiev. La Russia segue così Stati Uniti, Regno Unito e Canada che già lo scorso 24 gennaio avevano annunciato l’evacuazione dei familiari dei funzionari di stanza a Kiev e del personale diplomatico non essenziale. Questo genere di iniziative è solitamente messo in atto in contesti in cui si teme per l’incolumità e la sicurezza dei funzionari delle ambasciate, come nel caso di rivolte, rivoluzioni o conflitti, ma ha anche un valore politico poiché aumenta la tensione e genera insicurezza e paura sia nel paese ospite, sia a livello internazionale.
Non a caso, quando ad annunciare l’evacuazione furono le cancellerie occidentali, il ministero degli Esteri ucraino definì “premature” le mosse di Londra e Washington, affermando che non si era di fronte al rischio di un’invasione e che la sicurezza interna del paese non si era deteriorata malgrado il clima di tensione.
Oggi che a ritirare il proprio personale diplomatico è la Russia, il presidente ucraino Zelensky ha parlato di “pressione psicologica” da parte di Mosca. Una pressione che il Cremlino non accenna a diminuire malgrado l’intensificarsi delle trattative diplomatiche. “Francamente sono deluso dal fatto che tra di noi è in corso una conversazione tra un muto e un sordo, sembra che ci ascoltiamo, ma non ci sentiamo” ha dichiarato Lavrov, mostrando tutta l’insoddisfazione di Mosca. La pressione che la Russia sta esercitando attraverso il dispiegamento di ingenti forze militari ai confini dell’Ucraina, in Crimea e – in accordo con Lukashenko – anche in Bielorussia, ha finora avuto esiti limitati. I paesi occidentali non sembrano intenzionati a rispondere all’escalation militare del Cremlino, e le trattative diplomatiche sono in fase di stallo sia con gli Stati Uniti, sia con l’Europa, malgrado il recente intervento di Macron.
Se le pretese di Mosca non dovessero venire accolte, una soluzione militare diventerebbe possibile anche perché, dopo una simile esibizione muscolare, il Cremlino non può presentarsi a mani vuote davanti al paese. Il premier britannico Boris Johnson, a margine di un incontro con i vertici della NATO a Bruxelles, non ha escluso la possibilità che il Regno Unito assista militarmente l’Ucraina in caso di un attacco da parte della Russia affermando però di non credere “che il presidente Vladimir Putin abbia già preso la decisione di procedere con la guerra, anche se questo non vuol dire che sia impossibile che qualcosa di disastroso possa accadere presto”.
L’impressione è che le potenze occidentali siano ancora divise sul da farsi e le iniziative individuali e non coordinate dei vari leader, da Joe Biden a Boris Johnson fino a Emmanuel Macron, rendano più confuso e inconcludente il già complesso negoziato con Mosca.