Nazioni Unite, Lega araba, risoluzioni e veti, ma anche truppe britanniche, pasdaran e integralisti islamici. La matassa siriana sembra più difficile da sbrogliare di come ce la raccontano. Intanto si preparano i mastini della guerra.
Niente complottismi. Solo dubbi. Da settimane si assiste a un’accelerazione della diplomazia internazionale nei confronti della Siria con un incremento di esposizione mediatica nei confronti delle vicende del Paese arabo. Un breve riassunto dei fatti per come vengono raccontati dai principali media internazionali: proteste contro il regime di al-Assad sulla scorta delle primavere arabe; repressione militare del dissenso da parte di al-Assad anche con l’impiego di mezzi corazzati; diatriba internazionale sul da farsi; Lega Araba manda osservatori; Russia e Cina pongono il veto alla risoluzione Onu nei confronti della Siria (che chiedeva le dimissioni di al-Assad e il riconoscimento internazionale agli insorti); gli Stati Uniti chiudono l’ambasciata a Damasco; il Paese è sull’orlo della guerra civile.
La risoluzione Onu, verso l’intervento armato
Concentriamoci un attimo sul doppio no (russo e cinese) alla risoluzione Onu che “sminuisce il ruolo delle Nazioni Unite”, come sostiene il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, il quale definisce l’esito del voto “una grande delusione per il popolo siriano e per tutti i difensori della democrazia e dei diritti umani”. Una battuta: l’Onu si è sminuito con le sue mani a Srebrenica ed è stato sminuito per mano americana con il bombardamento Nato di Belgrado.
Il doppio no sembra piuttosto riaffermare il ruolo dell’Onu e della concertazione internazionale come antidoto alla soluzione bellica. Scongiurare una guerra è lo scopo delle Nazioni Unite.
La risoluzione Onu nei confronti della Siria “non prevedeva l’uso della forza” ma richiedeva le dimissioni di al-Assad. Tale risoluzione, in ottemperanza dell’articolo 41 della Carta delle Nazioni Unite, prevedeva sanzioni non militari per un Paese che violi i diritti umani attraverso il ricorso della violenza. Fin qui tutto bene. L’articolo 42 della Carta stabilisce però che “se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste nell’articolo 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”.
Quindi se al-Assad non avesse rispettato la risoluzione Onu che ne chiedeva le dimissioni, l’Onu avrebbe potuto proporre una seconda risoluzione con la quale si acconsentiva alla soluzione militare. Un copione simile a quello andato in scena in Libia.
Il veto russo e cinese alla risoluzione Onu, perché?
Diamo ora la parola a Mosca e Pechino. Perché hanno posto il veto? “La bozza di risoluzione che puntava a ottenere un cambio di regime in Siria non rispecchiava in modo adeguato lo stato delle cose del paese – ha scritto il China Daily in un editoriale riportato dalla Bbc – facendo solo pressioni sul governo siriano e cercando esplicitamente di costringere il suo leader Assad a dimettersi, la risoluzione manda il messaggio ai gruppi armati e all’opposizione al regime che loro hanno il sostegno della comunità internazionale. Questo complicherà senza dubbio la situazione in Siria”.
Più decisa la Russia che bolla come “isterica” la condanna unanime al veto posto da Mosca e da Pechino: “Direi che alcuni commenti sul voto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sono indecenti e rasentano l’isteria“, ha dichiarato il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov.
La Russia poi non intende rinunciare al proprio ruolo in Medio Oriente: Da un lato c’è la flotta russa che, negli ultimi mesi, ha ormeggiato più volte a Tartus, in Siria. La Russia ha già espresso più volte le sue criticità nei confronti del governo di Assad, ma evidentemente il rischio Nato in quelle acque è maggiore. Dall’altro c’è il metano che, in questo caso, non dà una mano.
Una questione geostrategica?
Da alcuni mesi circolano indiscrezioni che vogliono la Turchia partecipe di un piano di attacco finanziario orchestrato dagli Stati Uniti e dalle monarchie del Golfo. Il piano prevederebbe appunto l’immediata cessazione dei rapporti economici e finanziari tra Turchia e Siria: tale mossa costringerebbe tuttavia Ankara ad abbandonare il progetto internazionale del gasdotto con l’Egitto, che dovrebbe passare attraverso la Giordania ed il territorio siriano. Un gasdotto destinato a pompare metano russo e la cui costruzione è demandata proprio a compagnie russe e cinesi. Russia e Cina hanno in atto diverse concessioni e accordi di cooperazione economica con il regime, e avvertono un possibile e crescente interesse occidentale in questo settore strategico.
Uno scollamento tra la realtà e le notizie?
L’agenzia stampa Misna riporta la testimonianza di Agnès Mariam de la Croix, superiora carmelitana del monastero di San Giacomo il mutilato a Qara, nel nord della Siria, che afferma: “All’inizio, quando verso il mese di marzo 2011 sono cominciate le proteste contro il regime, la mancanza di informazioni precise su quello che stava accadendo era da attribuirsi all’omertà del governo di Damasco e agli ostacoli posti ai giornalisti, a cui i visti venivano concessi con il contagocce […] Ma poi alcuni media, in particolare le televisioni satellitari finanziate da capitali del Golfo come Al Jazeera e al Arabiya hanno iniziato a diffondere un’informazione ‘tendenziosa’, a tratti propagandistica di quanto stava accadendo nel paese. È a questo punto che ci siamo resi conto di una sorta di scollamento tra la realtà e le notizie“. La religiosa conclude dicendo: “a rispondere al fuoco dell’esercito che bombarda la città ci sono bande di uomini armati non identificati che allo stesso tempo si macchiano di crimini orribili contro la povera gente“. Chi sono questi uomini che combattono contro l’esercito di al-Assad?
I ribelli di Homs, chi sono costoro?
Archiviata la questione della risoluzione Onu e degli interessi russi e cinesi nell’area, l’altra domanda è: chi sono gli insorti? Un articolo di Guido Olimpio sul Corriere della Sera riporta una notizia inquietante: che elementi islamisti, già attivi nella guerra in Libia contro Gheddafi, combattano a fianco degli insorti siriani.
Come scrive Sirio Valent su Diritto di critica, riprendendo uno scoop del Guardian, in Siria ci sono già tutti. “Forze speciali inglesi e qatariote addestrano i ribelli del Free Syrian Army” mentre “i Pasdaran del generale iraniano Gashem Soleimani supportano Bashar Al Assad nell’assedio di Homs. Già sul posto anche consiglieri militari turchi, palestinesi e libici. Le interferenze – condannate dai russi – sono già in corso, e da entrambe le parti”.
Ci si spinge oltre asserendo che “a tutti gli effetti, i Pasdaran stanno sparando sui Fratelli musulmani” ovvero il partito islamico transnazionale che sembra essere una delle spinte propulsive delle primavere arabe. Senza scadere in semplicismi è possibile dire che i Fratelli musulmani rappresentino la parte conservativa e tradizionalista delle primavere, ma occorre andare cauti prima di definirli “integralisti” poiché nella loro evoluzione storica essi hanno sviluppato correnti progressiste.
I Fratelli musulmani, la Nato, gli inglesi e i pasdaran
L’inchiesta del Guardian riporta relazioni che confermano come la Nato e la Turchia stiano fornendo ai ribelli armi e addestramento, mentre droni isaeliani sorvolano i confini siriani. Il sito di documentazione DEBKAfile ha scritto il 14 agosto scorso (in Nato to give rebels anti-tank weapons): “gli strateghi della Nato stanno pensando, sempre più in termini di consegna di grandi quantità di missili anti-carro e anti-aerei, mortai e mitragliatrici pesanti nei centri di protesta, per respingere le forze corazzate governative”. Anche DEBKAfile conferma che forze speciali britanniche e del Qatar sono presenti nella città di Homs, coinvolte nell’addestramento delle forze ribelli.
Domande
Non si intende proporre una tesi ma, rispetto al riassunto fatto nel primo paragrafo, si vuole solo introdurre elementi di dubbio. Gli insorti di Homs sono islamisti più o meno radicali? Sono armati e addestrati dall’esterno? I disordini siriani sono stati pianificati? E quando? L’Onu cerca l’intervento militare? Gli interessi russi e cinesi saranno “compensati” per dare il via alla guerra? Certo un’ombra inquietante cala sulle cosiddette “primavere arabe” e sul nostro modo di vederle. Anche ci scrive, come tutti, fu entusiasta ma il dubbio – maledetto – si è presto fatto strada. E soprattutto i media danno tutte le informazioni di cui dispongono? Poiché se su queste umili colonne noi siamo qui a insinuare (in noi stessi, prima che nel lettore) il seme del dubbio, allora ben più capaci e prestigiose testate possono fare di meglio. Magari dare risposte alle nostre domande.
Senza entrare in un groviglie intrigato del perché accadono queste cose in Siria è sufficiente dare uno sguardo al complesso del mondo mediorientale.
Ora le vere motivazioni che spingono queste “false primavere arabe” (tutte finanziate da Usa e Israele) sono semplicemente il segnale evidente che il blocco occidentale necessita della forza delle risorse che si trovano in Cina (materiali rari, la cina ne dietiene il 90% delle scorte mondiali) e in Russia (la cui estensione è l’11,5% della terra emersa e al primo posto per estensione, molta parte della quale con immense risorse).
Il problema della Siria, come quello dell’Iran è una tenaglia concentrica che cerca di smorzare la forza propulsiva del blocco russo-asiatico.
L’attacco quindi si fonda su due punti principali: quello economico-finanziario e quello della destabilizzazione interna. Una volta attuato il primo, cosa questa che sta accadendo proprio in quei paesi “più vicini e quindi più sensibili”, il secondo è un atto dovuto. In pratica, prima sfiacchi il nemico e poi quando le enrgie sono esaurite dai il colpo di grazia.
Non ci sarà alcun guerra. Dopo il veto russo e cinese, gli Usa, la Francia e l’inghilterra si stanno già ritirando con l coda tra le gambe. Il dominio unipolare è finalmente terminato. Anche la Turchia ha cambiato linea, avvicinandosi alle posizioni russe. La stessa cosa ha fatto il Libano. Tutto il territorio siriano è ormai sotto il sicuro controllo dell’esercito governativo. La Russia è ormai tornata alla grande sulla scena internazionale. L’impero occidentale è ormai finalmente all’inizio della sua fine e di qui a poco dovrà sloggiare anche da Afghanistn e Libia.
Articolo brillante e obiettivo, direi che per la prima volta sono totalmente d’accordo con Matteo.
In effetti la parola che domina la vicenda è “dubbio”, anche se essi si stanno progressivamente diradando. Sul web stesso vi sono molteplici testimonianze di occidentali che, a vario titolo, affermano non solo che Damasco – la capitale – è estranea da manifestazioni di protesta, ma che il clima che si respira nel paese è quello di un “attacco sovversivo di non chiara origine”.
Doveroso è anche notare che la Siria confina con Libano, Israele, Turchia e Iraq: pensare che da questi paesi, notoriamente sotto influsso americano, non fluiscano armi e aiuti bellici è veramente difficile. Del resto la Siria è rimasta l’unica nazione del Medioriente su cui l’occidente non ha messo mano. Guardando in questi ultimi tempi i telegiornali russi, si assiste già a una narrazione ben differente.
Insomma, con tutti gli interessi geopolitici presenti sulla vicenda, il panorama siriano è veramente difficile da decifrare. Si attendo gli sviluppi..
Grazie Lorenzo, dei complimenti come delle critiche
M.
Ciao, giusto per segnalarti “chi è” la “religiosa” che hai citato: http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=17220&typeb=0&27-05-2012–Una-suora-lefebvriana-sostiene-il-regime-siriano
ok, allora le cose cambiano. La mia fonte era Misna, cui ho abitualmente dato un certo credito. Non credevo riportassero simili posizioni… Personalmente non sono certo di quelli che si possono ascrivere al cosiddetto “antagonismo”, non intendo fare un uso strumentale di quella testimonianza. Ora che ce lo hai segnalato, credo potremo tutti valutare diversamente parte delle cose scritte. Me compreso, che le ho scritte.