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MONTENEGRO: Governo sfiduciato, si va verso elezioni anticipate

Il governo montenegrino è stato sfiduciato con una mozione presentata da uno dei partiti che lo sostenevano, il voto è lo scenario più probabile

Il Montenegro non ha più una guida. Venerdì scorso Il Parlamento del paese ha votato a favore della mozione di sfiducia contro il governo del primo ministro Zdravko Krivokapić: quarantatré i voti a favore, solo undici quelli contrari.

A votarla non sono stati solo i deputati della minoranza ma, anche, quelli di una delle tre componenti della coalizione di governo, quelli di Azione Unitaria per le Riforme (URA). Non hanno invece partecipato al voto i rappresentati del Fronte Democratico (DF), l’azionista di maggioranza del governo, così come quelli del Partito Socialista Popolare e del Movimento per il cambiamento. La mozione era stata presentata da Dritan Abazović (URA), un’iniziativa politicamente dirompente visto che il primo firmatario era anche l’attuale vice-premier.

L’ossimoro della crisi già scritta ma … incomprensibile

Questo finale era già scritto, dopo tutto, intrinseco non solo nei numeri – risicatissimi, una maggioranza di un solo voto – ma, soprattutto nella stessa natura della maggioranza di governo. Troppo variegata al suo interno, troppi i galli nel pollaio, troppo divergenti gli interessi, gli obiettivi, i riferimenti politici e culturali. E, infine, troppo debole e poco autorevole la sua leadership: quel Zdravko Krivokapić, parvenu del mondo politico montenegrino, incapace di gestire una situazione già di suo poco gestibile: un uomo messo lì, più per quel che non era che per le sue comprovate capacità di guida.

Tutto ciò, si diceva, era chiaro fin dall’inizio, fin dall’insediamento nel dicembre 2020 – o addirittura già da prima. Puntare sulla durata del governo sembrava, più che una scommessa, un vero e proprio azzardo.

Ciò che stupisce, semmai, sono le modalità con cui si è effettivamente arrivati alla crisi e, più ancora, su chi si è assunto la responsabilità politica di un gesto tanto clamoroso. Una responsabilità non da poco vista la situazione attuale del paese, in bilico nel suo processo di adesione all’Unione europea, in piena crisi economica e nel bel mezzo del caos globale legato alla pandemia. Il momento più sbagliato, insomma, per far cadere un governo, quantomeno agli occhi della gente: la stessa che andrà poi a votare e che è, di sicuro, poco interessata ai tatticismi di palazzo.

Sembra esserne consapevole Milos Konatar, deputato di URA, che ha parlato di “decisione difficile”. Ma tant’è: è proprio questo che risulta poco chiaro, ovvero quali siano state le ragioni ultime (quanto meno quelle confessabili) che abbiano indotto URA a fare il gran passo. Per mesi, infatti, era stato il Fonte Democratico a menare le danze e a minacciare un giorno sì e l’altro pure di aprire una crisi politica: un’attitudine manifestata sin da subito, quando ebbe da ridire circa la scelta di mettere insieme un governo tecnico – o presunto tale – piuttosto che una compagine politica.

E, ancora, un’attitudine mostrata a più riprese nei 14 mesi di vita dell’esecutivo, l’ultima volta nel dicembre scorso quando minacciò di voler “rinegoziare” il proprio appoggio al governo, snocciolando una serie di punti di malcontento e di disallineamento. Nulla di nuovo, ad onor del vero, quanto la semplice riproposizione degli elementi identitari del Fronte, quelli che ne rappresentano la cifra politica collocandolo nella galassia della destra populista e serbo-nazionalista: un più stretto legame con la Serbia, innanzi tutto – attualmente i legami tra Krivokapić e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, sono piuttosto freddi – ma anche una maggiore autonomia dai vertici della Chiesa Ortodossa Serba in Montenegro, vissuti come elemento troppo ingombrante e influente nelle decisioni della maggioranza. Il nodo Kosovo (di cui DF contesta il riconoscimento) e il disaccordo con gli (ex) alleati circa il riconoscimento del massacro di Srebrenica come genocidio: vicenda che nell’aprile scorso aveva portato ad un passo dalla crisi e che era costata la testa del “frontista” Vladimir Leposavić, ministro della giustizia in carica. Se, dunque, DF è da sempre stato l’elemento destabilizzante del governo, è però URA a impugnare ora la pistola fumante.

Le reazioni e le prospettive

All’indomani del voto di sfiducia il premier uscente ha parlato di “aperta violazione della volontà dei cittadini” contestualizzando tale dichiarazione nell’ipotesi della formazione di un governo di minoranza che riesumasse politicamente il presidente della repubblica, Milo Đukanović, e il suo Partito Democratico dei Socialisti (DPS).

L’ipotesi di un governo di minoranza, infatti, è una di quelle attualmente sul tappeto. E’ d’altra parte Danijel Živković, capo gruppo parlamentare DPS, ad aver dato “la piena disponibilità per una cooperazione costruttiva con la nuova maggioranza”. E il sospetto che dietro a questo can can ci sia davvero un accordo più o meno esplicito con il DPS viene paventato dal presidente di DF, Milan Knežević, che ha anche minacciato di “avviare un’ondata di resistenza”.

Chi non aizza le folle invitando, al contrario, “i cittadini a non scendere in piazza” è lo stesso Krivokapić il quale chiedendo di non votare per “coloro che non rappresenteranno i loro interessi” sembra al contrario già pienamente proiettato in campagna elettorale.

Che alla fine si torni a votare, infatti, sembra la cosa più probabile, troppo stretto il margine per un governo di minoranza, troppo grandi le divergenze e, soprattutto, troppo grandi le sfide che il paese ha davanti per poter pensare di affrontarle con un governo tanto debole. Una tempesta in un bicchier d’acqua, vista così, dai contorni sfocati: difficile da spiegare o forse, per paradosso, semplicissima da capire. Una tempesta dal quale l’unico che sembra uscire rafforzato è proprio quel Milo Đukanović che in troppi avevano già dato per finito.

(foto: rtcg.me)

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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