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Russia e Cina unite contro l’Occidente. Ma è davvero così?

Russia e Cina si sono mostrate unite e compatte nel criticare la NATO, anche in merito alla crisi ucraina. Ma un’alleanza tra le due potenze non è utile, soprattutto a Mosca…

Il presidente russo, Vladimir Putin, e il suo omologo cinese, Xi Jinping, si sono incontrati a Pechino per siglare un accordo energetico che vedrà la Russia impegnata nella fornitura di gas al potente vicino cinese. L’incontro, tuttavia, serviva a mostrare al mondo che le relazioni tra Mosca e Pechino godono di ottima salute, e vanno al di là degli aspetti puramente economici. I due leader hanno infatti rilasciato una dichiarazione congiunta in cui accusano la NATO e i paesi occidentali di “destabilizzare” l’equilibrio internazionale. Il riferimento è alla crisi ucraina ma anche all’Aukus, l’alleanza militare tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia, in funzione anti-cinese.

Dietro la facciata si nasconde però una verità più vasta e articolata. Le relazioni tra Russia e Cina non sono affatto paritarie – a differenza di quanto affermato dal presidente Putin – e anche dal punto di vista strategico e militare sono molti i distinguo di Pechino, a partire dalla condanna all’occupazione della Crimea, ritenuta una violazione della sovranità ucraina.

Una relazione diseguale

I rapporti economici tra Mosca e Pechino sono decisamente sbilanciati a favore di quest’ultima. La Cina pesa per il 15,5% dell’economia russa, mentre il Cremlino vale appena lo 0,8% del commercio cinese. I cinesi sono presenti in tutti i settori strategici russi, dalle infrastrutture – finanziando gasdotti, autostrade e ferrovie – all’energia, settore in cui sono importanti azionisti di aziende pubbliche russe, dalla petrolchimica Sibur, di cui detengono il 10%, alla fruttuosissima Yamal LNG, che produce gas liquefatto, di cui controllano ben il 30%. D’altro canto la Russia punta a diventare il primo fornitore energetico per la Cina, ma l’energia non è tutto.

Fino a pochi anni fa, la Cina acquistava circa il 70% delle armi e delle tecnologie militari dal vicino russo. Oggi le posizioni si sono invertite, facendo della Cina il secondo produttore mondiale di armi, tecnologicamente più avanzate della Russia. Al punto che le autorità di Mosca hanno accusato i cinesi di copiare illegalmente tecnologie russe, senza però riuscire ad arrestare il sorpasso di Pechino. Nell’ambito delle telecomunicazioni, e dello sviluppo di una rete 5G – che ha anche ricadute militari e di sicurezza – il Cremlino dipende totalmente da Huawei.

Ma la Cina non può sostituire l’UE

Dal 2010 la Cina è il principale partner economico della Russia, superando la Germania  anche se, per essere precisi, l’UE vale 232 miliardi di euro in scambi commerciali con Mosca, più del doppio della Cina, a riprova del fatto che il mercato cinese non può sostituire in nulla quello europeo, e che se l’UE dovesse porre sanzioni al Cremlino, queste non potrebbero essere recuperate sul mercato cinese.

La Cina quindi più che un partner, è un “predatore positivo”, che contribuisce allo sviluppo economico russo ma, al contempo, lo influenza sempre di più grazie alla forza del proprio export e alla penetrazione finanziaria nelle aziende pubbliche russe. D’altro canto, la Cina non è in grado di rappresentare per la Russia un’alternativa al mercato europeo, perché assorbe poco dell’export russo. La relazione è ampiamente sbilanciata a favore di Pechino e la dipendenza russa si è persino aggravata a causa della pandemia.

Demografia e sinizzazione

Fin dal 1988 le autorità russe hanno messo in guardia dal pericolo della sinizzazione dell’estremo oriente della Russia. Oggi, alla paura si è sostituita la necessità. Ampie porzioni di terreni agricoli sono stati venduti ad aziende pubbliche cinesi, che le hanno redistribuite a contadini altrettanto cinesi, emigrati nell’oblast dell’Amur, nei territori di Chabarovskij e Zabaikal’skii, nella regione autonoma ebraica. La migrazione cinese ha lentamente ripopolato regioni che, dagli anni Novanta, avevano visto una progressiva diminuzione della popolazione locale, a sua volta emigrata verso l’ovest della Russia. La sinizzazione di queste regioni ha causato non poche tensioni sociali e contrasti, ma rappresenta la capacità di penetrazione demografica della Cina all’interno delle regioni russe di confine. Una penetrazione che porta con sé evidenti ricadute geopolitiche.

Una non-alleanza flessibile

Russia e Cina non sono unite dall’ideologia, ma piuttosto dall’evitarla, oltre che dalla resistenza al liberalismo occidentale. Le caratteristiche politiche che condividono hanno origine non tanto da una visione ideologica comune del mondo, quanto in circostanze che le hanno condotte ad esiti simili – per ora.

Dietro all’apparente unità nel condannare l’Occidente si celano posizioni assai diverse. La Cina non vuole inimicarsi l’Europa, con cui sta cercando di sviluppare sempre più profonde relazioni commerciali, né intende far salire la tensione con gli Stati Uniti, già piuttosto alta a causa della competizione per il controllo del Pacifico. Inoltre, Mosca e Pechino coltivano una differente visione degli equilibri asiatici, a partire dalle relazioni con l’India o il Vietnam.

Russia e Cina sono giunte alla conclusione che il loro partenariato funziona meglio come accordo informale. Ciò lascia a entrambe le parti la possibilità di non impegnarsi a sostenere l’altro nei suoi conflitti: la Cina non riconosce l’indipendenza dell’Abkhazia o dell’Ossezia meridionale, né l’annessione russa della Crimea, mentre la Russia non sostiene le rivendicazioni territoriali su Taiwan.

Il rischio del bipolarismo

La cooperazione militare tra i due paesi ha raggiunto un livello che alcuni analisti definiscono “al limite dell’alleanza”. Ma Mosca e Pechino difficilmente si affretteranno a formalizzare una vera alleanza militare. Soprattutto, non conviene alla Russia poiché, in un’eventuale contrapposizione militare tra Cina e Stati Uniti, il Cremlino sarebbe ridotto a un ruolo ancillare in un sistema che, di fatto, assumerebbe caratteristiche bipolari. Questo è esattamente ciò che la Russia non vuole, poiché si ritroverebbe tagliata fuori. Non a caso tutti gli sforzi del Cremlino tendono alla costruzione di un ordine mondiale ispirato al multipolarismo. Allearsi con Pechino per essere il “socio debole” della coppia, non conviene. Ed è su queste basi che occorre leggere le relazioni russo-cinesi.

Oggi la crisi ucraina offre l’occasione per mostrare unità di fronte all’Occidente, ma la partita è molto più complessa.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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