Questo articolo è scritto in collaborazione con Osservatorio Balcani e Caucaso
Romania e Ucraina sono alleate contro la minaccia russa, ma contese territoriali e diritti delle minoranze mostrano crepe dietro l’apparente unità
Il 27 gennaio il ministro degli Esteri romeno Bogdan Aurescu ha dichiarato che Bucarest sostiene convintamente l’Ucraina nell’attuale crisi con la Russia. Pur sottolineando che la Romania non invierà truppe sul campo, il capo della diplomazia ha ribadito la piena volontà del paese di rispettare i suoi doveri nel quadro dell’Alleanza Atlantica. Apparentemente niente di nuovo sotto il sole del fianco orientale della NATO, dove in misura variabile tutti i governi hanno confermato il loro posizionamento anti-russo.
Tuttavia, se si abbandona l’approccio dicotomico tipico degli scenari (quasi) bellici, e si scende nel campo delle relazioni bilaterali, il quadro diventa estremamente più complesso e variegato. Lo stesso Aurescu non è visto di buon occhio in Ucraina, a causa di ruggini vecchie e nuove.
La contesa marittima
Il volto di Aurescu è noto a Kiev già dal 2008, quando Romania e Ucraina si fronteggiarono davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia per stabilire l’appartenenza del tratto di mare (e del rispettivo fondale) che circonda l’Isola dei Serpenti, una piccola porzione di terra emersa nel Mar Nero che si trova a circa 40 km dalle coste dei due paesi. Nel 1947 la Romania era stata costretta a cedere l’isola all’Unione Sovietica, caduta la quale la sovranità è passata all’Ucraina. La contesa giuridica non riguardava la giurisdizione sull’isola, indisputabilmente ucraina, bensì la sovranità sulla superficie marittima e sui fondali circostanti, circa 12.000 km2; un’area fondamentale per lo sviluppo economico di entrambi i paesi, vista la presenza di grossi giacimenti di idrocarburi.
Dopo inconcludenti incontri bilaterali la questione giunse dinnanzi alla Corte dell’Aia; la squadra di legali e diplomatici romeni era guidata proprio da Bogdan Aurescu.
Il 3 febbraio 2009 la Corte assegnò alla Romania 9.700 dei 12.00 km2 contesi, sancendo una vittoria diplomatica enorme per Aurescu e il suo team. Le lunghe negoziazioni fallite e la sentenza sfavorevole accrebbero l’acredine di Kiev nei confronti di Bucarest, esacerbando un sospetto reciproco già esistente a causa dalla complessa integrazione della minoranza etnica romena in Ucraina.
I romeni d’Ucraina
Parlanti di lingua romena abitano i territori dell’attuale Ucraina sud-occidentale da secoli. Essi sono presenti soprattutto nella Bucovina settentrionale, nell’area intorno alla città di Černivci (che i romeni chiamano Cernauți), ma sparute comunità si trovano ancora nella regione di Odessa e in Transcarpazia.
I primi dissapori risalgono all’epoca asburgica, quando i due movimenti nazionali iniziarono a rivendicare l’esclusiva appartenenza della Bucovina alle rispettive nazioni. Nel 1918 la tensione raggiunse il suo apogeo: dopo la sconfitta dell’esercito austro-ungarico nella prima guerra mondiale i romeni iniziarono a lavorare apertamente per l’annessione al Regno di Romania, mentre gli ucraini speravano che la regione potesse unirsi alla neonata Repubblica dell’Ucraina Occidentale, una statualità effimera nata durante il progressivo sfaldamento dell’Impero asburgico, che aveva dichiarato la sua sovranità sulla Galizia orientale.
L’arrivo dell’esercito romeno alla fine di novembre 1918 sancì la definitiva unione della Bucovina settentrionale alla Romania. La regione rimase romena per tutto il periodo interbellico, e dopo gli anni convulsi della Seconda Guerra Mondiale divenne definitivamente parte della Repubblica Sovietica Ucraina.
Dopo la dissoluzione dell’URSS venne avviato immediatamente il dialogo tra Bucarest e Kiev per una pacifica integrazione della minoranza romena. Il percorso non è stato semplice: Bucarest accusa Kiev di non tutelare i diritti linguistici della minoranza romena, e di voler procedere ad una vera e propria assimilazione. A tutt’oggi la questione scatena la reciproca ostilità. Un astio visibile già nella pagina web ufficiale dell’ambasciata romena in Ucraina, dove si dichiara che “i romeni rappresenterebbero la terza etnia del paese, dopo gli ucraini e i russi, se non fossero stati artificialmente divisi in romeni (151.000 persone) e moldavi (258.600 persone)”.
L’uso del termine “artificialmente” rappresenta una critica, neanche troppo velata, al modo in cui le autorità ucraine conducono i censimenti della popolazione. Da sempre, sottostimare il peso numerico di una comunità che rivendica diritti linguistico-culturali indebolisce quelle stesse rivendicazioni.
Un rimprovero reiterato anche recentemente sempre da Aurescu, che lo scorso novembre ha accusato il governo ucraino di riconoscere ufficialmente l’esistenza della lingua moldava, sebbene in Moldavia si parli romeno. A giustificazione della presa di posizione ucraina va però ricordato che è la stessa Costituzione della Moldavia a dichiarare in maniera esplicita che la “lingua di stato è il moldavo” (limbă moldovenească).
Sfumare la dicotomia
Quanto appena riportato non porterà la Romania a venir meno ai suoi impegni nei confronti della NATO nel caso in cui la situazione al confine orientale ucraino degenerasse. La “fedeltà” di Bucarest a Washington è indiscussa, così come la tradizionale russofobia di larghi settori della classe politica romena e dell’opinione pubblica. Tuttavia, ricordare le travagliate relazioni con Kiev serve a sfumare un quadro spesso dipinto troppo semplicisticamente, che vede i paesi dell’est europeo entrati nella NATO tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000 come un blocco monolitico pronto a difendere Kiev a qualunque costo. La situazione è molto più fluida, e non è così scontato che tutti siano disposti a sacrificare uomini e risorse ingenti per l’integrità territoriale o per la sovranità dell’Ucraina.