East Journal presenterà, a cadenza settimanale, articoli sulla sinistra nei vari paesi d’Europa centrale e orientale.
La sinistra in Europa centrale e orientale non sembra versare in stato di ottima salute; nei paesi dove i socialdemocratici hanno successo, l’ideologia è talmente falsata che risulta difficile, attraverso gli schemi occidentali, comprendere come sia possibile definire determinati partiti di “sinistra”. Con un’eccezione rimarcabile: quella dei Balcani. Nei paesi dell’ex-Jugoslavia, vari movimenti civici, spesso scaturiti da intense proteste, hanno saputo istituzionalizzarsi in formazioni che coniugano politiche sociali ed ecologismo.
In Ungheria
Il Partito Socialista Ungherese (MSZP) sembra essersi allontanato dalla Terza Via di Blair e dal neoliberalismo. Dopo l’emorragia elettorale a seguito della crisi del 2008 e la fuoriuscita dal partito del leader Ferenc Gyurcsány (odiatissimo quanto liberale), i socialdemocratici ungheresi hanno portato avanti un discorso più a sinistra, auspicando la ricostruzione del welfare state e del dialogo sociale. A impedire la crescita del partito, il disinteresse nelle campagne e tra i giovani sembrano essere questioni irrisolvibili. I cittadini delle zone rurali, di fronte alla globalizzazione e all’insicurezza sociale (sfide a cui Viktor Orbán fa regolarmente riferimento), scelgono la stabilità e l’apparente sicurezza offerte da FIDESZ. I giovani contrari al governo ultra-conservatore preferiscono votare per partiti liberali, primo fra tutti Momentum. Alle prossime elezioni il MSZP si presenterà all’interno di una coalizione anti-Orbán che spazia dal centro-sinistra all’estrema destra. Marki-Zay, il candidato scelto, è un conservatore; nel caso in cui la coalizione vincesse, è poco probabile che i socialisti riusciranno a strappare al governo misure economiche di sinistra.
In Polonia
La formazione di centro-sinistra polacca Lewica è paralizzata: aperta sul lato dei diritti civili, non attira i voti dei lavoratori polacchi, socialmente conservatori e, perciò, più propensi a scegliere l’intervenzionismo economico e la protezione sociale offerte dal PiS. I cittadini delle zone urbane, più sensibili alle tematiche dei diritti civili, rigettano l’intervenzionismo economico proposto dal partito.
In uno schema politico caratterizzato da un cleavage tra liberali e conservatori, non sembra esserci spazio per la sinistra. In Polonia, gli elettori tradizionalmente di sinistra provengono dall’apparato burocratico (soprattutto dalla polizia): i diritti civili, soprattutto quelli relativi agli omosessuali, non sono di loro interesse.
Altri elettori di sinistra sono quelli contrari all’influenza della chiesa cattolica sullo Stato: è il caso ad esempio della minoranza ortodossa nell’est del Paese. Ma anche questi sono lontani da istanze liberali. Alle elezioni del 2015, la coalizione attirò più elettori liberali delle città rispetto a quelli delle campagne e delle regioni più povere del Paese, prima bastioni dell’Alleanza Democratica della Sinistra. Ogni sforzo per spostare l’attenzione verso le questioni culturali e liberali, allontanandosi da un programma economico di sinistra al fine di attirare molti più voti nelle città, è fallito miseramente. Al momento, seppure in difficoltà, soltanto Kaczyński sembra offrire ai polacchi un patto sociale che, seppur conservatore, convince.
In Romania
Il caso rumeno è forse il più emblematico per illustrare come sia il patto sociale tra popolazione e governo a tenere in piedi i vari governi d’Europa centrale e orientale. Martoriata dalla più grave ondata di Covid-19, quella di fine 2021, la popolazione rumena si è raccolta di nuovo intorno alla proposta del Partito Social Democratico rumeno, erede dell’antico Partito comunista. Seppure tramite una rete di corruzione e clientelismo, il PSD è riuscito negli ultimi decenni a restare un partito di massa fortemente impiantato nelle zone rurali e più povere del Paese, lontano dalle istanze della nuova generazione rumena che rifiuta qualsiasi rimando al passato e si vede liberale ed europea. Dopo aver abbracciato in passato alcune politiche neoliberiste, i socialdemocratici sembrano essere tornati a larghe promesse di spesa pubblica e di intervenzionismo.
In Slovacchia
Storicamente, i socialdemocratici sono sempre stati deboli nella cattolicissima Slovacchia; è interessante notare come, tuttavia, già da inizio Novecento il rapporto tra socialisti e cattolici non è stato di contrasto ideologico assoluto, bensì di semplice concorrenza. La Chiesa cattolica si è da sempre occupata delle questioni sociali: il socialismo cristiano era l’unica ideologia che attirava il consenso dei pochi operai slovacchi e degli uomini che, originari delle campagne, si sentivano alienati dalla vita e dal lavoro in città. Il successo di SMER-SD, il partito del carismatico Robert Fico, è dato dal relativo conservatorismo dei socialdemocratici: i diritti dell’uomo di cui la formazione si occupa sono perlopiù quelli socioeconomici.
In Repubblica Ceca
Come d’abitudine, la Repubblica ceca segue un cammino a parte rispetto ai suoi vicini orientali: nel Paese la retorica di sinistra, che sia essa più liberale o più socialdemocratica, non convince più la popolazione. L’8 ed il 9 ottobre 2021, i cittadini cechi si sono recati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento: lo storico Partito socialdemocratico ceco ed i comunisti del KSČM, sotto la soglia di sbarramento, non hanno ottenuto alcun seggio.
Settimana dopo settimana, una serie di articoli approfondirà la situazione dei partiti di sinistra nei vari paesi dell’Europa centro-orientale per capire in che stato versano partiti e movimenti, vecchi e nuovi, e quali tendenze si stanno delineando nell’elettorato.