Repubblica Ceca Sinistra

Cos’è la sinistra? Qualcosa che in Repubblica Ceca non c’è

In Repubblica Ceca, le elezioni del 2021 sono state disastrose per la sinistra. I socialdemocratici e i comunisti scompaiono dal parlamento…

L’8 ed il 9 ottobre 2021, i cittadini cechi si sono recati alle urne per eleggere il nuovo parlamento: lo storico Partito socialdemocratico ceco ed i comunisti del KSČM non hanno ottenuto alcun seggio, attestandosi al di sotto della soglia di sbarramento. Quello che un tempo era il paese dell’Europa centro-orientale con il movimento socialdemocratico più potente, si è trasformato nella culla del conservatorismo economico.

A seguito della caduta dei regimi comunisti, la Repubblica Ceca fu l’unica democrazia popolare a resuscitare l’antico partito socialdemocratico: nulla di sorprendente in un paese che nella zona ha sempre avuto status di eccezionalismo. Nonostante non abbia superato la soglia di sbarramento alle prime elezioni del 1990, il partito divenne presto di massa grazie al carismatico Miloš Zeman, oggi presidente della Repubblica.  

Comunisti vecchio stile

A farsi carico dell’eredità del vecchio regime fu invece il Partito Comunista di Boemia e Moravia (KSČM). Si discusse a lungo nel paese se fosse opportuno o meno permettere la creazione di un partito apertamente ostile a qualsiasi condanna verso il regime comunista. Dopo un  periodo di incertezze e scontri intestini, infatti, i comunisti avevano deciso di rigettare la “socialdemocratizzazione” della formazione, divenendo l’unico partito di sinistra dell’Europa centrorientale non riformato. Questa caratteristica ha sempre dato filo da torcere ai socialdemocratici: ogni tentativo di spostarsi al centro per attirare i voti dei moderati è risultato in un’emorragia di elettori a sinistra, regolarmente intercettati dai comunisti. Alle elezioni del 2002 (nelle quali, appunto, il moderato Špidla presentò un’agenda centrista e pragmatica) i comunisti ottennero il 18.5% dei voti. 

Un rapporto difficile

Il rapporto tra socialdemocratici e comunisti è sempre stato peculiare: (negli anni immediatamente successivi alla caduta del regime i primi si mostrarono fortemente ostili nei confronti di qualsiasi alleanza con i secondi. La risoluzione Bohumín, abolita soltanto negli ultimi anni, vietava al partito di collaborare con gli estremisti, comunisti inclusi. Questi, più propensi a lavorare con i socialdemocratici, evitarono tuttavia a lungo di partecipare a qualsiasi governo, consci della necessità di ri-legittimarsi di fronte al popolo ceco. In ogni caso, anche quando i comunisti hanno proposto di appoggiare l’eventuale governo di minoranza di Špidla, i socialdemocratici hanno rifiutato. 

Un sostanziale riavvicinamento tra le due parti venne promosso da Jiří Paroubek, protagonista di una svolta a sinistra dei socialdemocratici. I comunisti si mostrarono volenterosi, sostituendo Miroslav Grebeníček con il più moderato Vojtěch Filip alla guida del partito. Analogamente a quanto accaduto in precedenza, lo spostamento a sinistra finì per sottrarre voti ai comunisti. Il successo di Paroubek paralizzò la scena politica ceca, che alle elezioni del 2006 si ritrovò spaccata esattamente a metà tra destra e sinistra; soltanto l’astensione di due deputati socialdemocratici durante il voto di fiducia permise al centro-destra di formare una coalizione. 

Il calo dei consensi

I socialdemocratici sono rimasti ancora per diversi anni il primo partito alle elezioni; la perdita di consensi iniziò a farsi marcata solo dopo la formazione di un’alleanza governativa con ANO 2011, il partito dell’ex Primo Ministro Andrej Babiš, e con i cristiano-democratici. In tutte le successive elezioni hanno riportato risultati catastrofici, fino alla perdita di qualsiasi rappresentanza al Parlamento Europeo e a quello nazionale. Ai comunisti è spettato lo stesso destino: dopo un appoggio esterno al governo Babiš dal 2018 al 2021, il partito non ha superato la soglia di sbarramento del 5% alle ultime elezioni. Era facile d’altronde immaginare che il tipico elettore del partito, ancora fedele all’antico sistema comunista, avrebbe storto il naso di fronte alla retorica di Babiš, il cui slogan più diffuso era “gestire il paese come fosse un’azienda”, nonostante il leader di ANO abbia promosso politiche fiscali espansive relative a salario minimo, pensioni e stipendi pubblici (con relativo drenaggio di voti ai socialdemocratici).

Una sinistra che va verso destra

Per quanto riguarda i socialdemocratici, le cause della débâcle sono sia comuni alla sinistra occidentale, sia specificatamente ceche. Da un lato, il matrimonio con i neoliberali e la ricerca di una “terza via” hanno alimentato lo scetticismo di molti elettori tradizionali, soprattutto da quando i Pirati riescono ad offrire un’agenda sociale più consistente e al passo con i tempi; dall’altro, in il Partito Socialdemocratico ceco è dilaniato da una lotta interna tra progressisti e conservatori, questi ultimi molto più simili alla sinistra orientale e, in particolare, al caso slovacco. Riuscirà il partito a coniugare le due anime, preservando, ad esempio, le tematiche tradizionali di sicurezza sociale, aprendosi invece sul fronte post-materialista alle questioni ambientali e ai diritti umani? Per l’ora, l’avvicinamento della sinistra a tematiche nazionaliste si è rivelato controproducente, considerata la maggiore efficacia dei discorsi di altri partiti a destra.

Diversi analisti ritengono il futuro dei comunisti molto più incerto: il partito dovrà assolutamente attirare un nuovo elettorato, considerata l’anzianità della sua base. Che sia la fine anche per uno degli ultimi partiti comunisti europei di rilievo? 

Foto da Kafkadesk

Chi è Gianmarco Bucci

Nato nel 1997 a Pescara, vive a Firenze. Al momento svolge un dottorato in Scienze Politiche e Sociologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa sulle coalizioni rosso-brune in Europa centro-orientale. Scrive su East Journal dal dicembre 2021.

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