In Ungheria la sinistra cerca la sua strada, ma resta asfissiata dalla guerra ideologica tra liberali e conservatori.
Sebbene le prime elezioni democratiche in Ungheria nel 1990 videro i socialisti arrancare, era chiaro che nel paese, dopo una necessaria riorganizzazione, il Partito Socialista (MSZP) avrebbe avuto un ruolo prominente.
Pochi avrebbero tuttavia immaginato che il destino del partito sarebbe stato quello di allearsi con l’estrema destra per combattere l’uomo che ha monopolizzato il potere in Ungheria, Viktor Orbán. In un paese storicamente più interessato alle questioni culturali rispetto a quelle economiche, lo scacchiere politico si è ormai polarizzato in due grandi blocchi, quello etnocentrico e quello progressista-liberale, che asfissiano la sinistra. Esattamente come in Polonia, i socialdemocratici non riescono a ritagliarsi uno spazio consistente tra l’elettorato.
L’evoluzione: dal post-comunismo al neoliberalismo
Come in Romania, il Partito Socialista Ungherese è l‘erede diretto del vecchio Partito Comunista. La tendenza liberale in ambito economico si presentò, dopo qualche anno di grigiore ideologico, anche nel caso ungherese: per legittimarsi e distanziarsi dal passato, i socialisti diedero prova di un credo sincero nel libero mercato. La crisi di fine secolo nel paese fu affrontata con privatizzazioni e ricette neoliberali, implementate proprio dai socialisti.
Ma la conversione al liberalismo economico non era sufficiente: il popolo ungherese aveva da sempre strettamente associato il socialismo al comunismo, considerato il supporto dei socialisti alla Repubblica Sovietica di Béla Kun nel 1919 e la fusione con i comunisti per la fondazione del Partito dei Lavoratori Ungheresi dopo la Seconda guerra mondiale (c’è da dire che, in entrambi i casi, gran parte dei socialisti moderati venne perseguitata o espulsa dal partito).
Se oggi, come detto, lo scacchiere politico vede affrontarsi due visioni diametralmente opposte della società ungherese, quella liberale e quella conservatrice, a cavallo del nuovo secolo i protagonisti dello scontro erano i socialdemocratici e quello che Orbán stava pian piano trasformando in un partito conservatore. I socialdemocratici, sempre più vicini al modello occidentale, si lasciarono sottrarre i tradizionali cavalli di battaglia della sinistra: Orbán divenne, almeno a parole, il difensore della povera gente, dell’intervenzionismo, degli interessi delle zone rurali.
I grandi successi elettorali non fecero presagire il crollo che sarebbe arrivato di lì a poco: Ferenc Gyurcsany si impossessò delle redini del partito nel 2004, spostandolo sempre più al centro. La popolazione ungherese, complici alcuni successi economici apparenti, confermò l’alleanza socialdemocratici-liberali alle elezioni del 2006. Nello stesso anno, tuttavia, fu diffuso nelle radio ungheresi un discorso che Gyurcsany tenne a porte chiuse durante una riunione di partito: il leader ammetteva di aver mentito cronicamente di fronte alla popolazione circa la devastata situazione economica in Ungheria, dando il merito della vittoria elettorale a queste menzogne. Il primo ministro, con l’appoggio del suo partito, si ancorò al potere fino al 2009, provocando un collasso elettorale per i socialdemocratici alle successive elezioni amministrative. L’ultimo colpo duro inferto ai socialisti fu la creazione nel 2011 di un nuovo partito, Coalizione Democratica, che ha drenato ulteriori voti al vecchio partito. Il lungo regno di Viktor Orbán poteva avere inizio.
La – forse troppo – Grande Coalizione
Oggi il Partito Socialista è parte di una coalizione creata in funzione anti-Orbán che spazia, appunto, dal centro-sinistra all’estrema destra di Jobbik, guidata dal conservatore Péter Márki-Zay. Le parti in causa sono a tal punto concentrate sulla sconfitta del primo ministro, che non hanno chiarito bene come intendono governare. D’altronde, per un’alleanza così larga è difficile partorire un programma coerente e con una qualche identità: persino alcuni punti bandiera dell’alleanza, come l’europeismo e la restaurazione dello Stato di diritto, potrebbero essere messi in discussione dalla presenza di Jobbik al governo.
Orbán ha convocato le elezioni per il 3 aprile 2022, data nella quale i cittadini si esprimeranno anche sulla cosiddetta legge anti-LGBT, un testo che mira a vietare “la promozione dell’omosessualità ai minori”. Di fronte al voto parlamentare sulla legge, l’opposizione unita si è astenuta. Eccetto Jobbik, che ha votato favorevolmente: primi segnali di rottura di un eventuale prossimo governo?
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