Romania sinistra

Cos’è la sinistra? In Romania, tra clientelismo e nazionalismo

In Romania la sinistra è legata al Partito Socialdemocratico Romeno, erede del comunismo, capace di restare la prima forza nel paese grazie a fedeltà, clientelismo e nazionalismo…

A differenza di quanto accade nei paesi limitrofi, in Romania il Partito socialdemocratico (PSD) è stabilmente la prima forza politica, al governo in coalizione con i liberali da dicembre 2021

Per comprendere le motivazioni dietro a questo successo – in un’Europa dove i partiti tradizionali di sinistra faticano a preservare il consenso popolare – bisogna fare un passo indietro. A maggior ragione se volessimo comprendere le ragioni per cui il PSD resta il preferito dei più poveri, dei meno istruiti e della popolazione rurale, mentre in Europa occidentale la sinistra è ormai appannaggio di una classe media istruita, urbana e relativamente benestante.  

La fine del regime comunista e il rinnovamento di facciata

Alla caduta del regime di Ceaușescu, la nomenklatura comunista tenne salde le redini del potere, imponendosi, sotto la forma di un Fronte di Salvezza Nazionale, grazie ai suoi due leader carismatici Ion Iliescu e Petre Roman. L’eredità del vecchio regime permise alla formazione di sfruttare al meglio la capillare struttura organizzativa del Partito Comunista Rumeno, molto presente anche nelle zone rurali, lì dove i partiti di recente formazione faticavano a radicarsi. Il Fronte lavorò molto sulla legittimazione di fronte al popolo: divenendo membro del partito, il cittadino aveva più facile accesso a determinati benefici economici e lavorativi. Già da allora emerse una forma di patto clientelare tra popolo e partito, a cui in parte si deve il costante successo dei socialdemocratici. 

Il Fronte ebbe vita breve: presto Iliescu e Roman presero due strade diverse. Se il Partito Democratico di Roman si spostò sempre più a destra, affiliandosi alla famiglia del PPE, Iliescu avviò un processo di riforma della sua formazione che lo portò ad abbracciare i valori socialdemocratici, ad avvicinarsi ai sindacati e a raggiungere il Partito dei Socialisti Europei e l’Internazionale Socialista. L’obiettivo di quello che nel 2000 divenne il Partito Social Democratico non cambiò: fidelizzare la popolazione rurale di Dobrugia, Moldavia, Muntenia e Oltenia, tralasciando le città. 

Iliescu passò nel 2000 alla presidenza della Repubblica, mentre Adrian Năstase formò un governo che riuscì ad implementare alcune riforme sociali e ad avviare la Romania sulla strada della crescita. Tuttavia, sia la popolazione che le istituzioni europee (nonostante la promessa di adesione all’UE nel 2007) cominciarono a rendersi conto del clientelismo partigiano dilagante a livello locale. Questa immagine, nonchè l’inevitabile accostamento del partito all’oscuro passato comunista, portarono il PSD all’opposizione nel 2004. 

I socialdemocratici riuscirono ad approfittare delle impopolari riforme neoliberali introdotte a seguito della crisi del 2008 dalla coalizione guidata dal liberale Emil Boc, di cui essi stessi fecero parte per almeno un anno. Fu così che dal 2012, Victor Ponta salì al potere, fino alle accuse di evasione fiscale e riciclaggio. La crisi politica che ne scaturì fu aggravata dall’incendio della discoteca Colectiv a Bucarest, che provocò una violenta reazione popolare contro la mancanza di controlli in materia di sicurezza. Ponta si dimise. 

Il suo successore, Liviu Dragnea, più vicino alle istanze nazionaliste tipiche del vecchio Fronte ed ereditate da Ceaușescu, venne a sua volta condannato per frode elettorale, impedendo al popolarissimo leader di presentarsi alle elezioni del 2016. Il partito si impantanò: gli ultimi anni torpidi, caratterizzati da un tentativo di riforma di giustizia per depenalizzare alcuni reati di corruzione, costarono al governo Dăncilă la sospensione dal gruppo dei socialisti europei e una relativa sconfitta alle elezioni locali. L’insuccesso nella gestione dei liberali della pandemia di Coronavirus, nonché la fedeltà di una larga parte della popolazione nei confronti del PSD, garantiscono comunque ai socialdemocratici un buon risultato nei sondaggi. A fine 2021, il PSD è tornato al governo in coalizione con i liberali del PNL, partito che in passato ha rivestito sia il ruolo di grande nemico, sia di alleato.

Le ragioni del successo

Il rapporto paternalista-clientelare tra elettori e partito è la ragione principale per cui, di fronte alla dilagante disaffezione partigiana e alla personalizzazione della politica in Europa (e nel mondo), il PSD resta un partito di massa, con una rete locale solida ed elettori fedelissimi. I rumeni delle zone più rurali sanno che non otterranno nulla da chi porta avanti discorsi liberali, moderni ed europeisti: in un modo o nell’altro, invece, i socialdemocratici saranno in grado di ricambiare il favore fatto alle urne. Gli ultimi degli ultimile persone ammassate nelle periferie di Bucarest, hanno smesso di votare e perciò non attirano neanche l’attenzione dei socdem. Resta il fatto che nei settori 4 e 5 della capitale, relativamente poveri e dove si trova, ad esempio, il famigerato quartiere Ferentari, il PSD ha ottimi risultati, arrivando spesso al primo posto.  

C’è da dire che gli aficionados del partito sono perlopiù anziani: i giovani, quando votano, preferiscono scegliere i liberali del PNL o alcuni dei nuovi partiti, come il liberale ed europeista USR (Unione Salvate la Romania). Seppure il PSD sia lento a riformarsi, un cambio di immagine rapido è ormai necessario: i socialdemocratici hanno già tentato di accrescere il consenso nelle città e tra le fasce giovanili, a volte con un discreto successo. Il distacco da Dragnea va in questa direzione. Ma serve molto di più. 

Foto: Flickr

Chi è Gianmarco Bucci

Nato nel 1997 a Pescara, vive a Firenze. Al momento svolge un dottorato in Scienze Politiche e Sociologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa sulle coalizioni rosso-brune in Europa centro-orientale. Scrive su East Journal dal dicembre 2021.

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