La partita politica in Ungheria si gioca anche in campo internazionale: che sia Bosnia o Kazakhstan, Orbán si smarca dall’Europa e l’opposizione magiara incalza il primo ministro
Appena qualcuno ha iniziato a sentire odore di rivoluzione arancione, Viktor Orbán ha alzato la bandiera del presidente kazako Qasym-Jomart Toqaev. Una presa di posizione in linea con le relazioni economiche che l’Ungheria ha stretto negli ultimi anni con il Kazakhstan. Ma anche con la costante volontà di Orbán di smarcarsi dalle dichiarazioni (di circostanza) più comuni in Occidente. In politica internazionale il premier ungherese non perde occasione di distanziarsi dagli alleati europei, ma anche di scontrarsi con gli oppositori interni: che si tratti del Kazakhstan o dei serbi di Bosnia.
Orbán pronto a soccorrere Toqaev
La presa di posizione nella crisi kazaka non è nulla di eclatante. Budapest non si accoda all’Ue che predica pacificazione e democrazia. Anzi, si pone sulla stessa lunghezza d’onda di Mosca, puntando il dito contro i “terroristi che vogliono destabilizzare il paese”. Lo dice apertamente il ministero degli Esteri Péter Szijjártó, dopo una videoconferenza con i colleghi dell’Organizzazione degli Stati turchi, nella quale l’Ungheria ha lo status di osservatore.
Sul Kazakhstan l’opposizione magiara in alcuni casi ha scomodato paralleli con la rivoluzione ungherese del ’56, e in generale ha reclamato che comunque non ci si schierasse a spada tratta con un regime politico che di certo non è un esempio di democrazia.
Quando il peggio ad Almaty e dintorni era passato, al leader kazako invece arriva la telefonata di Orbán. “Il primo ministro ha parlato con il presidente Toqaev”, riferisce Szijjártó, “gli ha espresso la sua solidarietà e le condoglianze per le numerose morti, e abbiamo offerto il nostro aiuto”. Il ministro degli esteri ungherese è tra l’altro professore onorario dell’Università nazionale eurasiatica di Nursultan, e uomo chiave nei rapporti tra i due paesi.
Le relazioni pericolose coi serbi di Bosnia
Meno di concetto e più pratico è invece diventato lo scontro sul fronte serbobosniaco, pure caro a Orbán, che non ha mai nascosto la simpatia per Milorad Dodik. Solo nei mesi scorsi, dopo una visita in pompa magna a Banja Luka, il governo di Budapest ha fatto sapere, sempre per bocca del ministro Szijjártó, che avrebbe posto il veto a qualsiasi proposta di sanzioni Ue contro il leader secessionista Dodik. Orbán ha anzi promesso un aiuto finanziario di 100 milioni di euro alla Republika Srpska, nel quadro della politica di “vicinato responsabile” promossa dal governo ungherese.
Anche in vista delle venture elezioni del 3 aprile in Ungheria, lo scontro si è spostato nei giorni scorsi nelle aule di Bruxelles, per mano dell’eurodeputata liberale ungherese Katalin Cseh, eletta con il movimento Momentum. Cseh ha promosso una lettera aperta alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, per chiedere un’indagine interna sul commissario europeo all’Allargamento, l’ungherese Olivér Várhelyi. Troppo vicino a Orbán e, di riflesso, a un “governo ungherese che sostiene attivamente e aiuta la campagna serbobosniaca di Milorad Dodik ad attuare la sua strategia politica volta a dividere la Bosnia Erzegovina”.
Scontro a tutto campo in vista delle elezioni
La partita politica in Ungheria, dove quest’anno viene rinnovato il parlamento, si continua insomma a giocare su due tavoli. Quello esterno e quello interno, entrambi funzionali l’uno all’altro. In alcuni casi sono mosse puramente tattiche, come sul Kazakhstan. Orbán in concreto si è preoccupato di mettere in salvo gli ungheresi che risiedono nel paese, e ha fatto la sua scelta di campo formale per Toqaev. Come del resto hanno fatto altri stati, fatti salvi i propri interessi economici nell’Asia centrale.
Allo stesso tempo in Bosnia Orbán lavora sempre per consolidarsi uno spazio nel panorama internazionale. E, quando può, non manca di gonfiare il petto di fronte a un’Europa che spesso e volentieri lo guarda di sbieco, e a un parlamento europeo dove la prima forza politica resta quel Partito popolare europeo (Ppe) da dove Fidesz, il partito di Orbán, è uscito (o è stato fatto uscire) meno di un anno fa dopo la sospensione del 2019. L’annuncio ufficiale fu affidato a un tweet della fedelissima Katalin Novák, l’allora ministro che Orbán ha di recente lanciato nella corsa alla presidenza della repubblica.
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Immagine: Orbán e Toqaev durante un incontro nel 2019 (foto ufficio stampa Orbán)