Nella città di Mostar, in Bosnia Erzegovina, il campanile della chiesa ortodossa torna ad essere visibile nella sua interezza. Grazie ai lavori di ristrutturazione durati dieci anni, la chiesa, distrutta durante la guerra degli anni ’90, ha nuovamente la sua facciata, mentre i lavori all’interno si avviano a conclusione. Per una città troppo a lungo simbolo di divisione etnica e religiosa, la presenza di una chiesa ortodossa funzionante, che affianca le numerose moschee e chiese cattoliche, rappresenta un importante segnale di convivenza e dialogo.
La chiesa e la guerra
La Cattedrale della Santa Trinità fu costruita su progetto di Andreja Damjanov tra il 1863 e il 1873, ancora durante il periodo ottomano – rivaleggiando con la cattedrale ortodossa di Sarajevo. Come sede dell’Eparchia di Zahumlje, Erzegovina e del Litorale della Chiesa Ortodossa Serba, divenne il luogo di culto principale della popolazione serba presente a Mostar e in Erzegovina, dove conviveva con musulmani bosniaci (bosgnacchi) e croati cattolici, oltre a diversi altri gruppi nazionali.
La natura di Mostar cambiò radicalmente a causa della guerra iniziata nel 1992. La città fu inizialmente attaccata dalle forze serbo-bosniache, per poi divenire teatro dello scontro tra le forze croate e quelle bosgnacche. Immagine simbolo di una città contesa fu la distruzione dell’eponimo ponte ottomano, lo Stari Most, bombardato dalle forze croate il 9 novembre 1993. Insieme al ponte molti altri edifici furono distrutti, in particolare quelli religiosi, simbolo di uno o dell’altro gruppo, inclusa la Cattedrale ortodossa – da allora, l’eparchia ha avuto sede a Trebinje.
La ricostruzione
Finita la guerra, la presenza serba a Mostar è calata sensibilmente, passando da circa 20.000 a 4.400 unità. In un clima di costante divisione tra la componente croata e quella bosgnacca, la città ha visto rinascere chiese cattoliche e moschee, in una sorta di competizione senza fine a ristrutturare le vecchie e a costruirne di nuove.
In una città divisa in due non vi era posto per una terza confessione, e la chiesa ortodossa è rimasta in rovine per quasi vent’anni, fino a quando, nel 2011, il comune, il governo della Federazione (una delle due entità amministrative della Bosnia ed Erzegovina), l’UNESCO e diversi finanziatori locali e internazionali hanno dato il via ai lavori di ristrutturazione. Lavori durati dieci anni, a causa di lungaggini burocratiche e stalli politici, ma finalmente in fase finale, con gli esterni già conclusi e gli interni che dovrebbero essere pronti nel corso del 2022.
Gesti di tolleranza
La ricostruzione è stata accompagnata da storie ed esperienze di solidarietà e dialogo interreligioso. Due importanti icone appartenenti alla chiesa sono state conservate negli anni da una famiglia musulmana che vive nelle vicinanze, che le ha ora restituite al pope perché ritornino al loro posto nel tempio. Inoltre, tre amici, un musulmano, un cattolico e un ortodosso, hanno fatto una donazione per l’acquisto di tre orologi da apporre sul campanile. I tre orologi avranno esposti i numeri romani, arabi e nella lingua slava ecclesiastica antica, a simboleggiare le tre fedi in armonia tra loro.
Piccoli segnali, che contribuiscono ad arricchire nuovamente la città di Mostar. Un tuffo nel passato, forse, ma anche uno sguardo verso il futuro, per quella ripresa del dialogo inter-confessionale di cui la Bosnia Erzegovina ha ancora molto bisogno.
Foto: Željko Milićević – Anadolu