Dalla politica interna al quadro internazionale: intervista a Paolo Sorbello, esperto di Kazakhstan, dopo gli ultimi cruenti scontri
Una situazione destinata a tornare presto alla calma sotto il profilo dell’ordine pubblico, ma una polveriera pronta a riesplodere: queste le prospettive del Kazakhstan, sconvolto da una protesta sfociata in due giorni di violenti scontri, secondo Paolo Sorbello, ricercatore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia ed esperto del paese centro-asiatico, dove ha vissuto negli ultimi cinque anni. Sorbello, intervistato per East Journal, analizza la situazione del paese, dalle ultime parole del presidente Qasym-Jomart Toqaev alle violenze sui manifestanti, passando per lo stato di salute dell’opposizione al governo, la lotta per il potere e il più ampio quadro internazionale.
Sorbello, quanto c’è di vero nell’accusa di Toqaev che parla di sobillatori esterni al paese?
“È una cosa che non è possibile verificare. Di certo quella di influenze esterne è una scappatoia che da queste parti è stata sempre usata per dare una risposta veloce alle contestazioni, seguendo uno schema consolidato: protesta animata dall’esterno, presenza di terroristi, innalzamento del livello di allerta, limitazioni delle libertà… e, come è appena successo, si arresta o si spara. Però è impossibile dare con certezza una spiegazione lineare a quanto successo. Anche l’arresto dell’ex capo dei servizi segreti Karim Massimov non contribuisce a chiarire quali forze siano state dietro gli scontri”.
L’ordine di sparare è realmente arrivato dopo gli scontri cruenti del 5 e 6 gennaio?
“Era già stato fatto fuoco sui manifestanti. In realtà Toqaev non ha detto proprio ‘Do da ora l’ordine di sparare sulla folla’. Nel suo discorso, tra l’altro in russo, ha detto grossomodo ‘Mio è stato l’ordine di sparare’. Un’ammissione importante, perché si prende la responsabilità di fronte al paese della reazione delle forze governative. Dieci anni fa Nursultan Nazarbaev non ammise di aver dato un ordine del genere quando le forze speciali repressero nel sangue uno sciopero di lavoratori”.
Perché oggi Toqaev lo fa?
“In passato, se ci fossero state elezioni davvero libere, Nazarbaev forse le avrebbe vinte comunque. Toqaev invece ha perso quel poco di legittimità che aveva agli occhi del popolo. Ora fa vedere al mondo che ha la forza di prendere decisioni, che ha la situazione in pugno. E allo stesso tempo all’interno prova a guadagnare la fiducia dell’esercito”.
Una frase che, al di là delle interpretazioni, ha pronunciato in un discorso in russo.
“In questo momento Toqaev deve rivolgersi soprattutto all’esterno. In seguito ha anche fatto alcuni tweet in inglese. Del resto al suo popolo può comunicare poco o nulla: internet è bloccato, molte sedi televisive sono state distrutte. Le poche informazioni che arrivano ai kazaki sono qualche talk show dove si parla di banditi e terroristi alla radice degli scontri e viene presentata come rassicurante la presenza russa, si annunciano blocco dei prezzi e provvedimenti per chi ha fatto crescere l’inflazione”.
Altro passaggio interessante del discorso del presidente è stata la critica chi doveva gestire la sicurezza.
“È un’accusa a quegli apparati che sta smantellando, in linea con le decisioni dei giorni precedenti: tra il 4 e il 5 gennaio prima è stato licenziato Samat Abish, parente di Nazarbaev e vicecapo del KNB, i servizi di sicurezza kazaki [ma fonti ufficiali hanno poi smentito, ndr]; poi è stato licenziato tutto il governo. Nel frattempo Nazarbaev è stato esautorato dal consiglio nazionale della sicurezza, con Toqaev che ha annunciato ‘Da oggi questo lo faccio io’ e basta. L’arresto di Massimov per alto tradimento è probabilmente un punto decisivo nel tentativo di Toqaev di affermarsi come leader unico”.
Quindi, al di là degli scontri cruenti, è in atto un regolamento di conti all’interno della classe dirigente: in questo contesto il Cremlino come si pone?
“Non c’è un problema di fedeltà alla Russia: che il potere venga gestito dall’una o dall’altra fazione, non mette in dubbio la lealtà verso Mosca. Putin ha comunque preso la palla al balzo per intervenire in un paese che non è in guerra con altri, come ad esempio l’Armenia lo era con l’Azerbaigian quando chiese l’intervento del Csto. Da questa situazione uscirà un leader rafforzato grazie all’appoggio della Russia, alla quale sarà debitore”.
A Mosca c’è chi teme, e altrove chi auspica, una ‘rivoluzione arancione’.
“Non c’è nessuno che possa dare un colore ai moti di questi giorni. Il 16 dicembre, in occasione di un anniversario importante, in piazza della Repubblica ad Almaty i due principali partiti di opposizione hanno portato un centinaio di persone. E si tratta di due forze in teoria ideologicamente molto diverse: il Partito democratico è nazionalista; Scelta democratica invece sarebbe di orientamento liberale. Neanche all’estero c’è un leader credibile e riconosciuto”.
Non c’è quindi un fronte unitario in grado di creare un’alternativa politica.
“Di certo non c’è chi ha la forza di dare unità o, se vogliamo, un ‘colore’ all’opposizione, che sia a Toqaev o a Nazarbaev. Queste proteste poi sono state molto eterogenee e composite, sia da un punto di vista territoriale sia delle motivazioni. Tra il 2 e il 4 gennaio sono esplose per il malcontento sociale in una parte del paese, più legato alla disoccupazione e all’aumento dei prezzi del carburante. In alcune grandi città è esplosa più semplicemente la rabbia popolare. Poi, il 5 e 6 gennaio è cambiato qualcosa: sono davvero entrate in scena bande di criminali o qualcosa di simile per alzare il livello dello scontro”.
I famosi ‘nemici esterni’ chiamati in causa da Toqaev?
“Non è ben chiaro chi fossero, ma sicuramente erano gruppi ben organizzati arrivati ad Almaty da fuori. Legati ai servizi segreti? A oligarchi che si sono trasferiti all’estero? Oppositori di Toqaev? Sobillatori usati da Toqaev per alzare il livello dello scontro e scaricare su nemici interni la responsabilità degli scontri? È una cosa che probabilmente non lo sapremo mai con certezza”.
A parte la Russia nell’ambito del Csto, ci sono altre potenze che possono giocare un ruolo in questa crisi, come ad esempio la Cina?
“Dalla Cina, come pure da Occidente, sono arrivate dichiarazioni di circostanza. Pechino ha fatto capire che vuole un Kazakistan tranquillo, e che è un affare del Cremlino. Lo stesso vale un po’ per tutto l’Occidente: gli interessi europei e americani non sono stati toccati. In fin dei conti lo stesso Csto è intervenuto con un contingente di 2.500 uomini, in maggioranza russi: non è un’invasione, anche perché neanche i posti di interesse strategico per il Cremlino non sono stati toccati. In termini geopolitici generali, l’assetto del Kazakistan sta bene a tutti”.
Cosa succederà ora?
“A breve mi aspetto una pacificazione e il ristabilimento dell’ordine pubblico, con un’ulteriore stretta sulle libertà personali e l’informazione, in un contesto dove è rimasto davvero poco da stringere. Ma i problemi resteranno: l’economia, il welfare, le opportunità di sviluppo, le prospettive della popolazione, la povertà. Alla prossima miccia potrebbe scoppiare un altro incendio”.
Foto: EPA-EFE/STR