Anche la Bielorussia invia le sue truppe in Kazakhstan. Lukashenko accusa l’occidente: “Non regaleremo il Kazakhstan a USA e NATO”.
Il 6 gennaio scorso il presidente bielorusso Alexander Lukashenko ha acconsentito all’invio di truppe in Kazakhstan allo scopo di aiutare “la nazione amica” a mettere in sicurezza gli obiettivi sensibili del paese. L’intervento bielorusso va ascritto al più ampio impegno dei paesi del CSTO, l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, cui sono legati alcuni paesi dell’area post-sovietica.
Dopo la rivolta di piazza innescata dall’aumento dei prezzi del gas, il presidente kazako Toqayev ha dichiarato lo stato di emergenza e nella notte del 5 gennaio ha invocato l’articolo IV dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO). I paesi membri sono così intervenuti “in vista della minaccia alla sicurezza e sovranità della repubblica del Kazakhstan, causata, tra le altre cose, da un’aggressione esterna”. Si tratta della prima volta in cui la CSTO scende sul campo di battaglia in assetto operativo.
Il ruolo della Bielorussia in Kazakhstan
La Bielorussia fa parte del CSTO sin dal 1993. Non si è tirata indietro nel 1999 o nel 2002, momenti di svolta per l’organizzazione, cementando così la sua partnership all’interno di quella che è l’odierna CSTO. Il 6 gennaio scorso Alexander Lukashenko, dopo consultazioni con l’omologo russo Vladimir Putin e il segretario generale della CSTO Zas, ha dato il via libera all’invio di truppe ad Almaty, il cuore delle agitazioni di piazza.
Nello specifico il compito dei soldati bielorussi è quello di mettere in sicurezza gli obiettivi sensibili del paese, come aeroporti e palazzi governativi. Le truppe sono arrivate in Kazakhstan nella notte del 6 gennaio, aviotrasportate da cinque aerei modello IL-76MD. Si tratta della 103ª brigata paracadutisti di Vitebsk. Il ministro della difesa bielorusso, Viktor Khrenin, ha sottolineato che le unità inviate sono composte unicamente da “militari a contratto”, cioè militari professionisti.
La teoria del complotto
L’intervento del CSTO si motiva per rispondere a “un’aggressione esterna“. Secondo quanto dichiarato dallo stesso Lukashenko, le proteste kazake sarebbero un complotto orchestrato da forze straniere, USA e “tutto l’occidente”, per fare pressione su Russia e Bielorussia: “Le proteste sono una provocazione, come le tensioni al confine con la Polonia” ha dichiarato Lukashenko. Alle dichiarazioni di Lukashenko fa eco il presidente serbo Vucic, il quale dichiara che ci sarebbero servizi segreti stranieri dietro le proteste in Kazakhstan e che anche in Serbia si temono sommosse simili.
Per Lukashenko la pista da seguire è quella occidentale e dichiara che “non daremo il Kazakhstan in regalo com’è stata data l’Ucraina agli Stati Uniti e alla NATO”. Soprattutto, il presidente bielorusso sembra voler tracciare una similitudine tra quanto sta accadendo in queste ore in Kazakhstan e le proteste che hanno avuto luogo in Bielorussia, che definisce come una bomba inesplosa, per la quale si sarebbe potuti “arrivare a un punto di non ritorno”.
E descrive i rivoltosi kazaki parlando di banditi in senso generale, “come soldati professionisti, rivoluzionari di professione” pronti in qualsiasi momento ad appiccare i fuochi delle proteste. Le accuse di Lukashenko giungono in fine agli “oligarchi del gas kazaki”. I toni nei confronti di questi oligarchi anti-governativi sono sprezzanti. Leggendo tra le righe, l’intento sembrerebbe quello di sferrare un attacco al modello economico del Kazakhstan, secondo dopo la Russia per apertura al mercato libero.
Infine, rivolgendosi direttamente ai manifestanti kazaki, Lukashenko dice: “Avete fatto rumore, avete urlato. Basta! Bisogna negoziare prima di arrivare al punto di non ritorno. È arrivato il momento di dialogare. Dovete andare in ginocchio a scusarvi con i militari, così da risanare la crepa formatasi”.
Si scrive Kazakhstan ma si legge Bielorussia
Da queste parole si possono trarre almeno due considerazioni. La prima riguarda sicuramente l’intento di Lukashenko di comunicare qualcosa ai bielorussi, mostrando come che non ci sia speranza di rovesciare il regime con la violenza. La seconda riguarda il rapporto con i militari che, in Bielorussia, si sono spesi sostenendo il regime.
Gli eventi kazaki diventano così una nuova arma retorica per Lukashenko e, presto o tardi, gli scontri di piazza ad Almaty verranno usati come deterrente per dissuadere i bielorussi dallo scendere in piazza, o per giustificare la violenza delle forze speciali, gli OMON, contro i dimostranti. Quello che è certo è che il presidente bielorusso ha oggi un nuovo asso nella manica da sfoderare qualora necessario.