Definito il “cuore dell’Asia Centrale”, la valle di Fergana è l’intersezione di tre Stati centrasiatici: l’Uzbekistan, il Tagikistan ed il Kirghizistan. Si tratta di un’area densamente popolata che conta circa 12 milioni di abitanti, tanto che un terzo della popolazione tagica e kirghisa e un quarto di quella uzbeka risiede nell’area.
La valle di Fergana racchiude stati e persone con un background storico e culturale comune, ma divise politicamente e linguisticamente. Ciò ha portato con la caduta dell’Unione sovietica ad un deteriorarsi delle dinamiche securitarie regionali. Dispute sui confini, sull’uso delle terre e delle infrastrutture e tensioni etno-nazionali regolarmente causano incidenti transfrontalieri che a volte sono sfociati in conflitti. Inoltre, con nascita degli stati indipendenti, sono di conseguenza aumentati i controlli di frontiera e doganali, che hanno costituito un ostacolo al commercio interregionale e al movimento di persone e beni, molto frequente ed intenso in epoca sovietica.
La divisione dei confini: accordi e scontri
In epoca sovietica, i confini nella valle di Fergana vennero tracciati diverse volte: negli anni ’20, ’50 e ’80. Definire un particolare gruppo etnico era un compito complicato poiché in alcuni casi diversi gruppi si autodefinivano in maniera diversa in base al luogo di origine, ma anche per la sovrapposizione di diverse identità etniche.
Il governo centrale sovietico, dunque, seguì la logica della frammentazione, del divide ed impera, così che creò nella sola valle di Fergana numerose enclavi ed exclavi: quattro enclavi uzbeche e due tagiche in Kirghizistan e due enclavi, una tagica e una kirghisa in Uzbekistan. La ragione dietro questa scelta era evitare che uno degli stati centrasiatici prevalesse sugli altri nella valle, e allo stesso tempo evitare il consolidamento dei leader musulmani del Turkestan. Mosca negoziò i confini con le élite locali; le controversie territoriali di quell’epoca però non ebbero una grande risonanza e la definizione di nuovi confini amministrativi non impattò particolarmente sulle popolazioni locali poiché essi rimasero pressoché aperti.
Nei trent’anni successivi alla caduta dell’Unione Sovietica, le autorità tagiche e kirghise hanno convenuto alla delimitazione di circa il 60% dei propri confini attraverso 27 incontri bilaterali, mentre le negoziazioni rimangono aperte sui restati 459 confini contesi.
Per quanto riguarda il confine uzbeko-kirghiso, solo circa 200 km su un totale di circa 1300 km di confine sono ancora oggetto di disputa. Inoltre, con l’avvento di Shavkat Mirziyoyev alla presidenza uzbeka nel 2016, si sono implementate politiche di libero scambio e relativa apertura delle frontiere. L’incremento delle relazioni commerciali intraregionali ha portato alla firma di un accordo storico tra i due stati nel 2017, in cui si è concordato circa l’85% dei confini comuni.
Tuttavia, non sono mancate tensioni ed incidenti lungo i confini. Tra il 1989 e il 2009 si sono verificati 20 scontri nella valle. Mentre tra il 2010 e il 2013, 62 al confine kirghiso-tagiko e 102 tra Kirghizistan e Uzbekistan. Negli anni successivi il numero è stato crescente: 37 scontri solo nel 2014, a cui è necessario aggiungere anche gli incidenti che non sono stati registrati dalle autorità frontaliere. Alcuni incidenti comportano l’uso di armi e provocano vittime. Per esempio, tra il 2014 e la metà del 2015, 16 incidenti hanno comportato l’uso di armi, causando 16 vittime e lasciando 12 persone ferite.
Nel 2016, invece, una disputa territoriale nella parte kirghisa e uzbeka della valle dove i confini non erano stati adeguatamente demarcati, ha richiesto l’intervento degli eserciti di entrambi i Paesi. Incidenti analoghi si sono verificati anche negli anni successivi nelle zone di confine non ancora concordati. Queste frizioni hanno gravi ripercussioni sul commercio e sui collegamenti economici nella valle e, inoltre, acuiscono le tensioni etniche tra le comunità presenti nella valle. In aggiunta, la questione dei confini pone anche un altro problema: l’uso delle risorse, in particolare dell’acqua, che diventa un’ulteriore causa di conflitto.
Le cause delle tensioni nella Valle
I conflitti per le risorse come l’acqua e la terra sono frequenti, anche per il fatto che l’agricoltura è centrale nell’economica della valle. Per questo motivo le tensioni aumentano in particolare durante la primavera e l’autunno, periodi in cui, nel primo caso ci sono le maggiori interazioni commerciali transfrontaliere, mente nel secondo, l’attività agricola è in piano svolgimento.
L’accesso e la distribuzione delle risorse d’acqua dipendono principalmente dal fiume Syr Darya, che ha origine in Kirghizistan. Tuttavia, meno del 15% dell’acqua è suddivisa tra Kirghizistan e Tagikistan, mentre solo l’Uzbekistan ne riceve circa il 50%.
Nelle tensioni sorte nella valle di Fergana, l’appartenenza etnica gioca un ruolo fondamentale. Se in epoca sovietica, era il fatto di risiedere nella valle un elemento centrale nell’identità degli abitanti, negli ultimi anni l’etnicità è stata particolarmente marcata e politicizzata dai politici e dai leader secondo una retorica nazionalista. Infatti, per le comunità di confine, le dispute non sono puramente “etniche”, ma le accuse possono essere facilmente assegnate a un gruppo etnico. A lungo termine, le divisioni etniche associate ai conflitti di confine non fanno che rafforzare gli stereotipi negativi e causare l’indurimento delle identità etniche e nazionali.
Per via delle tensioni e degli scontri, negli ultimi anni è stata messa in atto una progressiva securitizzazione dei confini, implementando posti di blocco e controlli alle frontiere e rendendo più restrittivi i criteri per ottenere i premessi per attraversarle, tanto che in alcuni casi si parla di militarizzazione dei confini della valle. Ciò ha avuto indubbiamente importanti conseguenze sulle persone che abitano la valle: in particolare ciò ha comportato una forte riduzione del commercio transfrontaliero, creando disagi e difficoltà economiche e ha anche influenzato i legami culturali e familiari. Infatti, in alcuni paesi, ci sono famiglie i cui membri hanno una doppia cittadinanza o risiedono e lavorano nello Stato confinante. Per questo motivo, la securitizzazione dei confini comporta per essi difficoltà e ostacoli.
Tuttavia, secondo molti analisti, proprio nei rapporti transfrontalieri c’è l’opportunità di peacebuilding, ad esempio attraverso la cooperazione regionale formale e informale. In particolare, ciò può avvenire attraverso una cooperazione che riguarda le risorse, come le acque e dunque implementando pratiche di gestione dell’acqua su base comunitaria al confine, soprattutto a livello distrettuale e provinciale, e dell’altra, incrementando i rapporti economici e commerciali nelle aree di confine.
La cooperazione tra le comunità della Valle di Fergana, quindi, è la chiave per scongiurare nuovi contrasti ed appianare le tensioni, che, allo stesso tempo, potrebbe portare ad un affetto domino positivo, ovvero promuove ulteriori dialoghi per la definizione dei confini, e incrementare lo sviluppo economico dell’area.
Immagine: Stefano Cislaghi – Flickr.com