Zagabria Zec

CROAZIA: L’importante commemorazione delle vittime serbe del sindaco di Zagabria

Il 7 dicembre scorso il neosindaco di Zagabria, Tomislav Tomašević, ha partecipato alla commemorazione organizzata dalla Lega antifascista di Croazia, dal Consiglio nazionale serbo – l’organizzazione che riunisce i serbi di Croazia – e dall’ONG Documenta, per ricordare l’eccidio della famiglia serba di Mihajlo Zec, a trent’anni esatti dai fatti.

I fatti

La Croazia della fine del 1991 non era un posto per serbi. L’indipendenza proclamata l’8 ottobre – costata una guerra pagata al prezzo di 20 mila morti – era ancora appesa al filo sottile del riconoscimento internazionale; Vukovar era appena caduta nelle mani delle milizie serbe dopo un assedio durato mesi suggellato da atrocità assortite, crimini della peggior specie e rastrellamenti indiscriminati.

Era il clima ideale, quello, per la caccia alle streghe, per quella al serbo. Ed è esattamente in quel clima che, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre, si consuma l’omicidio di Mihajlo Zec, macellaio di professione, secessionista per convinzione. Mihajlo è un benestante, rifornisce i più importanti ristoranti di Zagabria, ha anche finanziato l’Unione Democratica Croata (HDZ), il partito fondato dal neo-presidente della repubblica, Franjo Tudjman. Non basta: è reo, infatti, di avere presunti legami con i serbi di Krajina che nello stesso periodo tentano velleitariamente la carta autonomista, uno stato (la cosiddetta Regione autonoma serba di Krajina) nello stato (croato), nel sogno della Grande Serbia e del ricongiungimento alla madre patria. Un sogno, anche questo, costato sofferenze inenarrabili e centinaia di migliaia di profughi.

Mihajlo è centrato per strada da un proiettile esploso da trenta metri di distanza mentre tenta la fuga dalla sua casa di Trešnjevka, popoloso quartiere nel sud-ovest della capitale, Zagabria. Dall’altra parte del fucile automatico c’è Siniša Rimac, parte di un commando di cinque uomini, tutti appartenenti all’unità paramilitare croata guidata da Tomislav Merčep, all’epoca viceministro dell’Interno e funzionario dell’HDZ. Solo uno degli elementi che costituivano la fittissima rete di protezione politica che, coinvolgendo i massimi livelli istituzionali del paese, hanno permesso al gruppo di assassini di sfuggire alla giustizia e ai tribunali croati di rilasciarli aggrappandosi a presunti vizi procedurali, malgrado la confessione fornita all’indomani dell’arresto.

Ma ciò che rende l’episodio oltremodo drammatico è quanto avviene subito dopo l’esecuzione di Mihajlo: il commando, infatti, si rivolge al resto della famiglia, la moglie Marija, e una delle figlie, Aleksandra. Sono legate, rapite e successivamente uccise con un colpo alla nuca prima di essere gettate in una discarica. Una vera e propria esecuzione cui scampano miracolosamente altri due figli della coppia, Gordana e Dušan.

L’importanza di un gesto

Le responsabilità sono chiare fin da subito ma il guscio difensivo regge a tal punto da permettere ai membri del gruppo di continuare a delinquere negli anni successivi e a Rimac di diventare colonnello dell’esercito croato e di vedersi appuntare al petto da Tudjman in persona una medaglia per “gli atti eroici in guerra”.

Una vergogna che molti anni dopo – è il 2004 – costringerà il governo croato al riconoscimento ai superstiti di un risarcimento in denaro in via stragiudiziale. Un riconoscimento che ha il sapore delle scuse formali, sebbene il primo ministro d’allora, Ivo Sanader, non seppe andare oltre a parole di semplice solidarietà precisando che quell’atto “non ci autorizza a influenzare la decisione della Procura che ha spiegato che lo Stato è responsabile solo se il reato è stato commesso al suo servizio”. Per la serie: soldi sì ma poi tutti zitti e buoni.

Visto in questa prospettiva l’iniziativa di Tomašević appare in tutto il suo coraggio, in tutta la sua importanza – non è un caso che Tomašević sia stato il primo sindaco cittadino a fare un gesto simile. Così come importanti sono state le parole da lui pronunciate durante la cerimonia e quel voler sottolineare l’auspicio di “vivere in una città dove il crimine è crimine, non importa chi sia l’autore” che, nel contesto dato, assume il significato di un ponte gettato tra le divisioni interetniche che affliggono ancora oggi la società croata.

La reazione del presidente della Repubblica

Ma la dimensione dell’importanza del gesto di Tomašević ce la danno, per contrasto, le reazioni scomposte che da più parti hanno accompagnato l’iniziativa del sindaco: reazioni che arrivano dalle massime cariche istituzionali del paese, addirittura dal presidente della Repubblica, Zoran Milanović.

Quel suo affermare di “conoscere storie di guerra peggiori di questa” – ovviamente storie in cui le vittime sono croate – scavano, infatti, un solco profondo, lo ribadiscono anzi, e indicano inequivocabilmente quanta strada ci sia ancora da fare sul percorso di una visione condivisa della storia recente del paese (seppure con qualche segnale incoraggiante). Come se ci potesse essere una misura del male, una classifica dell’orrore, come se avesse senso la relativizzazione del crimine. Come se ognuno fosse tenuto, e anzi moralmente autorizzato, a leccarsi le ferite del proprio dolore e di quelle soltanto, nell’eterna contrastante alternanza di vittimismo e supposto eroismo, nell’autocompiaciuto crogiolarsi in quella sorta di autismo sentimentale che ti permette di riconoscere solo la tua sofferenza, mai quella altrui, nemmeno di riflesso.

Ha ragione Zoran Pusić, presidente della lega antifascista e organizzatore della manifestazione, a definire “vergognose” le parole di Milanović. Lo sono. Ha invece torto il deputato indipendente, Bojan Glavašević, che nelle stesse ore ha affermato che le dichiarazioni di Milanović sui crimini di guerra lo hanno fatto sentire “sorpreso e rattristato”. Non c’è, infatti, nulla di sorprendente. Purtroppo.

Foto: Profilo Facebook di Tomislav Tomašević

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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